Le associazioni economiche esprimono tutta la loro preoccupazione. Gehri: ‘Spesi male e troppo soldi che non ci sono’. Pesenti: ‘Servono vere riforme’
«Se si va avanti così, si va a sbattere dritti contro un muro». Né più, né meno. E se le associazioni economiche – Camera di commercio e Associazione industrie ticinesi – convocano i media per far sentire la propria voce senza che ci sia una contingenza di attualità da commentare o dibattere, vuol dire che la misura è prossima all'essere colma.
La denuncia è chiara: lo Stato si sta gonfiando come una rana e non potrà permetterselo in eterno. Anzi, è da un po‘ che viaggiando sopra le proprie disponibilità si crea debito senza vedere alcun risultato. Quindi, per non diventare proprio la famosa rana immersa in un'acqua che si riscalda di un grado alla volta e finisce bollita, per Cc-Ti e Aiti è ora di invertire la rotta. E prima di subito.
Nella sua relazione, il presidente della Camera di commercio Andrea Gehri va giù duro sin dai saluti: «Sembra che non ci riguardi il fatto che lo Stato spenda soldi che sono nostri, e che non sono infiniti. A torto, a volte ci scandalizziamo su come vengono usati i soldi dei cittadini, cioè le imposte, cioè i soldi dello Stato. Ma finisce subito, e tutto rimane sempre fermo». Per Gehri la realtà è ben diversa: «Lo Stato, esattamente come una famiglia o le persone, non può spendere in modo spensierato soldi di cui non dispone. Pena, l'indebitamento cronico ed eccessivo con danni e rischi per tutta la collettività».
Quello di Gehri è un attacco frontale: «Nel 1990 la spesa pubblica era di 1,6 miliardi di franchi. Nel 2025, trentacinque anni dopo, è arrivata a 4,5 miliardi: quasi il triplo». Di più: «Il Preventivo 2025 prevede un ammanco di 97 milioni di franchi, soldi che non abbiamo in conto ma che è stato deciso di spendere comunque, senza porsi domande». Insomma, «da anni la collettività va avanti con debiti su debiti per finanziare l'ente pubblico, ed è una tendenza malsana».
C’è chi sostiene che aumenta la spesa perché aumentano i bisogni della popolazione, però. E potrebbe non avere tutti i torti. Ma anche in questo caso Gehri imbraccia l'artiglieria: «La crescita della spesa è dovuta in larga parte all'aumento dei costi della sanità e dei premi di cassa malati, con un intervento sempre più consistente che ha portato a un sistema dei sussidi talmente oneroso da necessitare importanti adattamenti per la sua sostenibilità nel lungo periodo».
E fin qui, d'accordo. Il problema, per il presidente della Camera di commercio, arriva quando «ci si trova di fronte un parlamento che decide di annullare una sua precedente decisione di riduzione dei sussidi». Il chiaro riferimento è all'accoglimento da parte del parlamento dell'iniziativa del Centro che chiedeva di ripristinare i 10 milioni di franchi tolti dalla Ripam nell'ambito della votazione del Preventivo 2025, richiesta portata avanti anche dalla sinistra con un referendum che aveva raccolto circa 11mila firme. Gehri tira dritto: «Con l'attuale sistema, una famiglia con due figli minorenni e un reddito di 12mila franchi al mese ha diritto agli aiuti». Non che siano poi tante, le cifre pubblicate dal Consiglio di Stato rispondendo a un atto parlamentare del Plr parlano chiaro: i numeri sono bassissimi. Tant'è. È il concetto che conta. Perché «non avremmo nulla in contrario se questi soldi ci fossero, ma i sussidi di cassa malati sono arrivati a 430 milioni di franchi. Il 10 per cento della spesa pubblica, in costante e progressiva crescita». Col rischio poi che quando i soldi devono essere usati per altro, non ci siano.
L'indebitamento, secondo Gehri, è un disastro completo e inenarrabile. Perché «nonostante si osservi questa situazione, la politica è incapace di correggerla. Argomenti di natura elettorale prevalgono costantemente sul buonsenso». Indebitarsi, sommamente, ha «conseguenze reali, non solo filosofiche». E queste conseguenze sono «l'aumento della spesa per gli interessi sul debito, l'impatto sulla crescita economica, il rischio di una crisi di fiducia da parte della popolazione, la vulnerabilità economica, lo spostamento del problema alle future generazioni».
La questione, poi, si aggrava se si pensa che «è una tendenza cui ci siamo abituati a tal punto che nonostante l'esplosione della spesa pubblica diamo credito a slogan che in Ticino affermano ‘Stop ai tagli’». Nel mirino quindi finisce anche il largo comitato di sinistra, altri partiti contrari ai tagli e sindacati molto attivo in protesta e raccolta firme. Ma Gehri esclama: «Stop ai tagli? Ma di quali tagli stiamo parlando? Negli ultimi decenni non ci sono mai stati tagli ma sempre e solo nuove spese. È opportuno affrontare questo tema partendo da fatti oggettivi, non da slogan politici ed elettorali che non risolvono nulla».
Conciliante come la dinamite è anche il presidente di Aiti Oliviero Pesenti. «In vent'anni lo Stato si è gonfiato del 75% e sono cresciuti i costi. Il Prodotto interno lordo è cresciuto meno della metà. Domanda: cosa abbiamo fatto con queste risorse? Per quali spese sono state investite? Per grandi infrastrutture e grandi progetti?». Pesenti si risponde da solo: «Magari! Invece no, ci siamo limitati a redistribuire. Come si fa a non essere preoccupati davanti a tale situazione? La politica avrà mai un limite a questa espansione della redistribuzione? Sono domande serie cui dobbiamo rispondere, perché le risposte date finora ci preoccupano molto».
Sottolinea ancora Pesenti: «Il nostro capitale proprio ha uno sviluppo negativo, il debito pubblico è esploso. Siamo tra i Cantoni più onerosi, il fanalino di coda in quasi tutti i confronti. Non abbiamo nemmeno fatto i compiti sugli investimenti». Un disastro completo, par di capire.
E avanti tutta con assoluta determinazione quindi, perché «è tempo di riforme» tuona compostamente Pesenti. «È impossibile sostenere che tutto vada bene e che si possa continuare così. I conti sono sfuggiti di mano, da anni chiediamo una revisione dei compiti dello Stato che sono svolti regolarmente da Cantoni con finanze più solide di quelle ticinesi ma i nostri appelli sono costantemente ignorati».
Anche Pesenti torna all'ultima sessione di Gran Consiglio, col voto sulla Ripam: «È stato un siparietto preoccupante, davanti a un minimo taglio con cui il Gran Consiglio ha deciso di aumentare di 30 milioni invece che 40 la Ripam ritenendola una misura necessaria perché sarebbe andata a beneficio di economie domestiche con redditi più alti, dopo l'annuncio della Banca nazionale il Gran Consiglio ha fatto marcia indietro, incapace di portare avanti nemmeno una riformetta da 10 milioni su 4,5 miliardi di spesa. Quando invece sarebbe tempo di riforme vere».