A breve il Cda della Cassa pensione dello Stato prenderà una decisione. Durisch (Ps) interpella il governo e gli ricorda il suo ruolo di datore di lavoro
Per tutelare le 300 donne andate in pensione anticipata – ex dipendenti statali o parastatali che si sono viste ridurre parte della rendita a causa della Riforma Avs 21 votata nel settembre del 2022 che ha alzato l’età di pensionamento a 65 anni – la cassa pensione dei dipendenti pubblici, l’Ipct, deve fare la sua parte. Anche il Cantone, però, non può guardare dall’altra parte e deve essere pronto a colmare il “buco” che si è creato. È quanto afferma un'interpellanza inoltrata al Consiglio di Stato dal capogruppo socialista Ivo Durisch a nome di tutti i granconsiglieri Ps-Giso-Fa. Una decisione – che comporterebbe una spesa ulteriore di circa 1,3 milioni di franchi – potrebbe arrivare già domani, quando la questione delle 300 affiliate che si sono viste ridurre la rendita sarà all’ordine del giorno della seduta di Consiglio di amministrazione della Cassa. L’Ipct si occupa infatti di decidere e gestire questa prestazione, ma non del suo finanziamento che è invece a carico di affiliati e datori di lavoro (quindi pure del Cantone).
La situazione, anche se un po’ tecnica, è la seguente: le donne nate tra il 1961 e il 1965 che sono andate in prepensionamento prima del 2024 hanno subito una provvisoria riduzione della rendita. Questo perché è stato smesso di erogare loro il supplemento sostitutivo Avs dai 64 anni. Allo stesso tempo, però, l’età di pensionamento è stata appunto alzata a 65 anni. Ecco quindi il “buco” nella loro rendita. Un buco che le altre pensionate e prepensionate donne (quelle che hanno smesso di lavorare dopo il 2024) non hanno in quanto il regolamento dell’Ipct è stato adeguato al cambiamento di età pensionabile. Il discorso non tocca ovviamente gli uomini affiliati alla cassa in quanto non c’è stata per loro una modifica dell’età pensionabile.
La colpa di questa situazione, si legge nell’interpellanza, “non è imputabile né alle assicurate, che hanno preso la decisione di prepensionarsi in base a regole allora chiare e definite, né al Cantone quale datore di lavoro, né all’Ipct quale istituto di previdenza. Il vuoto di copertura – riconosce Durisch – deriva infatti dall’effetto combinato della riforma AVS 21 e della normativa regolamentare in vigore fino a fine 2023, che non teneva ancora conto dell’aumento graduale dell’età di riferimento Avs per le donne”. A questo si aggiunge il fatto, ricorda sempre l’interpellanza socialista, che “l’adeguamento del Regolamento Ipct alla nuova età di riferimento Avs, entrato in vigore solo il 1° gennaio 2024, ha risolto il problema per le nuove pensionate, ma non per coloro che avevano già scelto il prepensionamento prima di tale data. Ne consegue che oggi, per queste donne, il versamento del supplemento sostitutivo Avs si interrompe al compimento dei 64 anni”. Non è così invece per i loro coetanei uomini andati in pensione nello stesso periodo, che continuano a ricevere il contributo: “Un’evidente disparità di trattamento”.
Insomma, per Durisch e compagni bisogna trovare una soluzione. E il Cantone non può tirarsi indietro: “Il Cantone è il principale datore di lavoro coinvolto in questa situazione, poiché la maggioranza delle donne interessate è o è stata dipendente cantonale. Pur non avendo una responsabilità diretta per il vuoto normativo, il Cantone ha una responsabilità etica e sociale nel ricercare una soluzione equa e condivisa, in linea con il proprio ruolo di datore di lavoro pubblico. Tale responsabilità – viene ricordato nell’atto parlamentare – implica l’impegno a garantire condizioni eque e, laddove possibile, a intervenire per limitare le conseguenze sfavorevoli derivanti da mutamenti normativi sopravvenuti e non prevedibili al momento delle decisioni di pensionamento”.
L’art. 8 della Legge sull’Ipct, scrive Durisch, stabilisce che questa prestazione è esclusivamente a carico dei dipendenti e dei relativi datori di lavoro. “In quest’ottica, e tenuto conto anche della necessità di ricapitalizzazione della Cassa, sembra risultare problematico che l’istituto si assuma l’onere finanziario per il prolungamento di una simile prestazione. Dal momento che la quota a carico dei dipendenti verrebbe in ogni caso coperta dagli stessi, appare quindi logico – afferma sempre Durisch – coinvolgere i datori di lavoro affinché si facciano carico della parte mancante e/o individuino proposte di compensazione”.
«Mi aspetto una decisione positiva da parte del consiglio di amministrazione e il finanziamento da parte del governo – commenta Durisch –. Si tratta di un importo contenuto e di una spesa puntuale che va a colmare una evidente disparità di trattamento tra lavoratrici che non hanno nessuna colpa».