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Sugli smartphone a scuola, il divieto non convince del tutto

Partita la raccolta firme, parola a esperti e ragazzi. Trivilini: ‘Coerenza, proporzione e motivazione’. Lodi: ‘Occasione educativa’. E i giovani...

Il dibatto è appena agli inizi
(Ti-Press)

Sei miliardi di persone hanno un cellulare, ma solo 4,5 miliardi hanno accesso a delle toilette. In pochi anni, oggetti poco più grandi di qualche centimetro, sono diventati il centro della nostra vita e di quella dei nostri bambini e ragazzi. Oggi, in Svizzera, il 60% dei bambini tra i 10 e gli 11 anni possiede già uno smartphone, mentre il 25% dei piccoli tra i 6 e i 7 anni ha accesso a un tablet personale. Il problema però non sono i telefonini di per sé, ma l’accesso illimitato e precoce ai social network: recenti studi dimostrano che l’uso degli smartphone ostacola relazioni, concentrazione e benessere, oltre ad avere effetti negativi sull’apprendimento, sulla socializzazione e ad aumentare i rischi di dipendenza digitale e cyberbullismo.

In questo contesto si situa l’iniziativa promossa dal Centro “Smartphone: a scuola no!” che mira a proibire a bambini e ragazzi delle scuole dell’infanzia, elementari e medie di portare smartphone e dispositivi connessi a una rete a scuola. Un’iniziativa che può suscitare pareri discordanti, ma che ha un vasto comitato interpartitico e interprofessionale alla base e che coinvolge un ampio ed eterogeneo fronte politico e diversi rappresentanti della società civile.

Trivilini: ‘Bisogna avere coerenza, proporzione e motivazione’

«Il mio punto di vista, basato sulla somma della mia esperienza ormai ventennale con giovani, genitori e docenti, mi ha permesso di elaborare tre parametri utili al dibattito: coerenza, proporzione e motivazione» dichiara Alessandro Trivilini, esperto di sicurezza e tecnologie digitali. Un tema delicato, che riguarda i nostri ragazzi e sul quale è bene riflettere, magari utilizzando le tre “chiavi” messe a disposizione dall’esperto. «Una regola, per poter essere integrata in un contesto culturale, educativo, sociale o di qualsiasi tipo, deve tenere in considerazione questi tre parametri, e i giovani non fanno eccezione, dobbiamo capire se l’iniziativa porta dei benefici o dei limiti, se si tratta di un’opportunità o se sposta il problema».

Coerenza: il primo parametro. «Come può un adolescente comprendere un divieto assoluto come quello promosso dall’iniziativa quando lo smartphone è diventato un veicolo che racchiude relazioni, emozioni e ricordi di tutti noi?» interroga Trivilini. Parafrasando l’esperto, in una società sempre più digitalizzata, dove il telefono viene usato anche per la più piccola e insignificante attività, un divieto categorico potrebbe risultare contraddittorio agli occhi di un ragazzo, che passa da un uso frequente del cellulare (e nell’osservare i genitori farne un uso simile) a non poterlo neanche mettere nello zaino.

«Il secondo parametro è la proporzione: una regola troppo restrittiva rischia di creare un problema relazionale nel nucleo dove viene imposta e una troppo permissiva sposta il problema altrove, perché ciò che abbiamo cercato di regolamentare viene utilizzato in modi alternativi, inconsapevoli e irresponsabili» continua Trivilini. In un’epoca di continui cambiamenti, come app IA che nascono ogni settimana, è essenziale lo sviluppo del pensiero critico, per poter usare questi strumenti in modo responsabile. «Escludere i ragazzi da questo mondo in modo troppo restrittivo significa perdere delle opportunità di sviluppo del pensiero critico e della capacità di sviluppare una relazione equilibrata con il proprio dispositivo».

Il terzo parametro: la motivazione. «Stiamo parlando di giovani che sono in una fase di sviluppo cognitivo, la cui personalità si sta formando velocemente ed è anche sollecitata dall’uso di piattaforme, che conoscono i ragazzi meglio dei propri genitori» prosegue l’esperto. «Se non conoscono il motivo dietro a una regola saranno meno inclini a rispettarla, spinti dalla curiosità ma soprattutto perché quella è l’età in cui si va in contraddizione e in conflitto, e la tecnologia accelera questo fenomeno in modo incredibile. L’importanza del ruolo di questi social è un fattore da mettere in conto, un divieto che va a proibire l’uso di questi mezzi non può non essere motivato».

«Questa iniziativa prende la pancia delle persone, tutti i genitori, secondo me, pensano che i figli usino troppo il telefono, ma la mia speranza è che utilizzando questi tre parametri si apra un dibattito qualitativo, per far iniziare un processo di relazione e investimento verso l’uso consapevole delle nuove tecnologie». Conclude Trivilini: «La nostra è un’occasione straordinaria per investire nell’uso consapevole del benessere digitale, nell’accompagnamento affinché un adolescente, possa capire i concetti di equilibrio, fiducia e di utilizzo consapevole e responsabile».

Lodi: ‘Ma a quale prezzo?’

Dove alcuni vedono come unica soluzione possibile il divieto, Ilario Lodi, direttore di Pro Juventute Svizzera italiana, vede un’opportunità: «È un’occasione educativa fenomenale alla quale non possiamo rinunciare, e non solo come scuola. Il problema sicuramente riguarda la scuola, ma solo perché è lì che è emerso, ma non si è generato esclusivamente lì, questo è un problema di società». I giovani, infatti, come ha sostenuto in un’altra intervista “sono una cartina tornasole della contemporaneità, apprendono dagli adulti ciò che fanno e pensano e gli adulti non possono chiamarsi fuori da questa responsabilità”. Se i giovani si comportano in maniera sregolata e fanno un uso irresponsabile dei telefoni, forse la colpa non è solo loro, e, indipendentemente da ciò, secondo il direttore di Pro Juventute Svizzera italiana, i divieti non sono la soluzione.

«Sono contrario all’iniziativa», dichiara categorico Lodi. «Proibendo l’uso dei cellulari perderemmo un’occasione educativa che fino a oggi non abbiamo ancora assunto, o che abbiamo assunto solo parzialmente. Non sono contrario ai divieti, ed è giusto che ci siano, ma devono essere motivati da un’azione di accompagnamento che ne spiega il perché. Proibire ai ragazzi di portare i telefoni a scuola, ha senso solo se si accompagna una simile azione con tutta una serie di attività educative». Ciò fino a oggi è avvenuto solo saltuariamente.

Un compito non da poco, da svolgere su un tema molto delicato, che andrebbe affidato alle scuole. «Il problema deve essere assunto dalla sede scolastica, che deve occuparsi dei problemi che la riguardano personalmente, perché sedi diverse hanno problemi diversi».

L’esempio dei corsi Recupero scuola media

Infine, un avvertimento: «Un’azione educativa è necessaria adesso anche per un altro motivo: se non lo fanno i docenti, noi come genitori o lo Stato (al di là dei divieti), allora sarà il web a farlo, che ha altri interessi, sicuramente non educativi». Conclude Lodi. In un modo leggermente diverso, e su scala decisamente più piccola, la metodologia proposta da Lodi è già stata applicata a una classe del Recupero scuola media promosso da Pro Juventute, un corso di un semestre per ragazzi che vogliono recuperare la licenza di quarta media. In una delle classi ai giovani è stato permesso di seguire le lezioni tenendo con sé i telefoni (l’uso era sconsigliato ma non proibito), ma a metà semestre circa è stata fatta una lezione sui rischi dell’uso eccessivo del cellulare, alla quale poi è seguito l’obbligo di mettere i telefoni in una scatola per tutta la durata dei corsi.

Le opinioni dei ragazzi

‘Per noi è davvero un’assurdità’

«Inizialmente l’ho trovato ingiusto, poi piano piano, andando avanti nel percorso scolastico, l’ho trovato giusto perché era quello che mi serviva, per “tirare via” la distrazione e “mettere” attenzione» rivela Nicola, uno dei ragazzi che ha partecipato ai corsi.

Opinione condivisa anche da Jordan, un suo compagno: «Secondo me è stato utile per la concentrazione e per la serietà in classe, e comunque dopo un po’ di tempo non ci pensavo neanche, ma non ricordo di aver trovato ingiusto il dover mettere i telefonini nella scatola». Aggiunge poi: «Ricordo però che la lezione sui rischi mi ha fatto un po’ paura, perché si è visto quanto possa essere pericoloso».

Sia Nicola, sia Jordan, hanno confermato che, effettivamente, il telefono può essere una distrazione. «Ci sono state volte in cui ho dovuto usarlo, magari per cercare cose a cui non arrivavo su ChatGPT, ma in realtà non serve a un bel niente» dice il primo. «Io prima lo usavo, e a volte ero meno concentrato» ammette il secondo.

E se prima ancora di mettere piede in aula a inizio semestre ci fosse stato l’obbligo di consegnare i telefoni senza fare storie? «Li avrei denunciati» scherza Nicola, mentre Jordan più diplomatico aggiunge: «Mi avrebbe dato fastidio, perché così a caso è brutto».

La questione vista da due liceali

Insomma, togliere il telefono senza dare nessuna spiegazione non sembra convincere i ragazzi del recupero scuola media, e anche altri studenti hanno delle opinioni simili: «È un’idea assurda: se uno non può portare il telefono a scuola come fa ad avvertire i genitori degli imprevisti?» chiede Teo, studente di prima liceo, «dove abito io non ci sono bus a ogni ora, e tornando dalle medie dovevo avvertire i miei dell’orario in cui sarei tornato in modo da farmi venire a prendere, senza telefono come avrei fatto? Per le elementari una regola del genere ha senso, ma per le scuole medie no». Più bellicosa è invece Martina, in forte disaccordo con l’iniziativa: «Secondo me è una sciocchezza, posso capire che durante le lezioni non vuoi che lo prendo, ci sta, ma nelle pause cosa te ne frega se un allievo sta al telefono o no?, durante le ore di lezione ci sta che lo metti via perché non te ne fai nulla, ma almeno durante le pause dovrei poterlo avere, per qualsiasi evenienza».

L’eccessivo uso del cellulare non è un problema che colpisce solo i giovani, ma anche tanti adulti, a cui però non vengono imposte le stesse regole, come nota Teo: «Il datore di lavoro non ti proibisce di portare il telefono perché potrebbe distrarti, se ti vede usarlo, giustamente, ti cazzia, ma è giusto così, allo stesso modo dovrebbe essere alle medie e al liceo». Martina, invece, è in disaccordo con il compagno: «Secondo me è giusto che ci siano delle regole, anche perché gli adulti rispetto a noi giovani lo usano per altre cose, non stanno tutto il tempo a bruciarsi il cervello, dovrebbero sì dare il buon esempio, ma è anche sensato che noi giovani abbiamo più limitazioni».

Anche per quanto riguarda i possibili danni che possono causare i social, come il cyberbullismo o problematiche come aumento dell’ansia e dell’insicurezza, Martina e Teo hanno la risposta pronta: «Non penso che cambierebbe niente, anche perché in ogni caso a casa il telefono ce l’hai e puoi tranquillamente bullizzare dopo scuola» afferma la ragazza.

«È inutile, il problema del bullismo c’è indipendentemente dal telefono, essere sbattuto contro un armadietto non è meno brutto di essere preso in giro su internet», conclude il ragazzo. «Se non posso usare il telefono per un periodo di tempo i miei problemi non finiscono, li posticipo e basta».