Il Consiglio di Stato risponde a Piezzi (Plr), e annota che le direttive del 2020 hanno riscontro. In 25 sedi su 36 vietati anche smartwatch e auricolari
Sugli smartphone nella scuola dell'obbligo, il Centro ha recentemente lanciato, assieme a esponenti di altri partiti, l'iniziativa popolare per vietarne tassativamente l'uso. Epperò a seguito di una decisione del Gran Consiglio nel 2020 sulla medesima mozione presentata dal già deputato Giorgio Fonio, questo utilizzo è “di fatto vietato all'interno del perimetro scolastico e raccomandando agli istituti di scuola media di rafforzare in maniera interdisciplinare, i momenti di riflessione circa il loro utilizzo”. Lo scrive il governo rispondendo a un'interrogazione del granconsigliere liberale radicale Aron Piezzi, il quale chiedeva lumi sullo stato dell'arte.
Il sondaggio svolto dal Dipartimento educazione, cultura e sport rileva che stando al rilevamento effettuato presso le 36 sedi di scuola media nel corso dell'estate 2025 “le norme del 2020 sono in vigore in tutte le sedi. L'adesione al principio di base (dispositivo personale spento e non visibile sul sedime scolastico, con eccezioni motivate) è uniforme”. Le differenze tra sedi riscontrate non riguardano la sostanza delle direttive, ma “la gestione organizzativa della loro attuazione”.
Nella maggior parte delle sedi, 25 su 36, “l'applicazione delle norme include già oggi esplicitamente, oltre agli smartphone, anche smartwatch, auricolari intelligenti e dispositivi analoghi”. In 27 sedi, si legge ancora nella risposta governativa, “il divieto resta in vigore già oggi integralmente anche durante le pause, i pasti in mensa, negli spogliatoi e nei bagni, momenti e luoghi in cui l'applicazione del divieto – stando a quanto emerge da alcune direzioni – comporta maggiori difficoltà di applicazione e sorveglianza”.
La sfida principale oggi, sul tema, per il governo è la seguente: “Al di là dell'enunciazione formale dei divieti e delle direttive, rimane la loro applicazione pratica negli istituti scolastici. Ossia – viene scritto ancora nella risposta a Piezzi – assicurarsi che il divieto venga conseguentemente e coerentemente rispettato dalle allieve e dagli allievi, anche grazie all'imprescindibile collaborazione con le famiglie, del corpo docenti e delle direzioni”. Anche perché “le varianti attuative riflettono contesti locali e non mettono in discussione il divieto di principio”. E le differenze di applicazione “rientrano nel margine dell'autonomia operativa di istituto offerta dal quadro cantonale, che consente di prendere misure proporzionate al contesto (piani personalizzati per esigenze mediche, competenza delle sedi nel proporre attività e misure educative) pur nel rispetto delle regole comuni”.