II Consiglio di Stato dice no alla proposta dell'Mps di attribuire la competenza al parlamento. ‘Rimanga del Consiglio della magistratura’
Il governo aderisce ai pareri del Consiglio della magistratura (Cdm) e del Tribunale d’appello e pertanto risponde picche alla richiesta formulata da Matteo Pronzini e Giuseppe Sergi. Ovvero all’iniziativa parlamentare con la quale i deputati del Movimento per il socialismo propongono, passando dalla modifica dell’articolo 80 della Legge sull’organizzazione giudiziaria (Log), di assegnare al Gran Consiglio la competenza di destituire giudici e procuratori, sottraendola al Cdm. Stando a Pronzini e Sergi, dato che il parlamento elegge i magistrati, deve poter anche licenziarli. Tesi non condivisa dal Consiglio di Stato, che nel messaggio/rapporto appena licenziato invita il Gran Consiglio a “respingere” quanto suggerisce l’Mps.
Secondo il nuovo articolo 80 elaborato dagli iniziativisti, nei confronti del magistrato “che, con il suo comportamento, offende la dignità della magistratura”, il Cdm “sottopone al Gran Consiglio la richiesta di destituire il magistrato”. Al Consiglio della magistratura resterebbe la facoltà di pronunciare, se del caso, le sanzioni disciplinari ‘meno gravi’ – per esempio ammonimento, multa, sospensione dell’onorario, trasferimento ad altro ufficio giudiziario –nei riguardi del procuratore o del giudice “inadempiente nell’esercizio delle sue funzioni”. Il vigente articolo della Log stabilisce invece che il Cdm può decidere, oltre alle misure appena citate, la destituzione “del magistrato inadempiente nell’esercizio delle sue funzioni o che, con il suo comportamento, offende la dignità della magistratura”. In entrambi i casi insomma. La destituzione, il provvedimento disciplinare più grave. Che per Pronzini e Sergi dovrebbe essere emesso dal parlamento e non più dal Consiglio della magistratura, il quale si limiterebbe a chiederlo.
Contrario a questo scenario il governo. Che osserva: “I motivi alla base della destituzione” sarebbero circoscritti “a quei casi in cui venisse appurato un comportamento del magistrato che offende la dignità della magistratura”. Di conseguenza, con il cambiamento prospettato, “un magistrato che è gravemente e ripetutamente inadempiente nell’esercizio delle sue funzioni non potrebbe più essere destituito, ma unicamente sanzionato con le misure disciplinari previste alle attuali lettere da a) a f) dell’articolo 80 Log”. Cosa che “rende problematica la modifica di legge postulata, poiché indebolirebbe non poco il potere del Consiglio della magistratura di intervenire nei confronti di quei magistrati che risultassero indegni di rappresentare l’autorità nella quale operano”. Aggiunge l’Esecutivo: “L’apertura del procedimento e l’istruttoria in vista di una destituzione rimarrebbero di competenza del Cdm: al termine dell’istruttoria, qualora ne fossero adempiuti i presupposti, questa autorità dovrebbe limitarsi a chiedere al Gran Consiglio di pronunciare la destituzione. A prescindere dal fatto che la postulata modifica non specifica se il tenore della richiesta del Consiglio della magistratura debba essere vincolante o meno per il parlamento, è però già sicuro che in tal modo gli interessati perderebbero la possibilità di ricorrere alla Commissione di ricorso sulla magistratura ai sensi dell’articolo 85a cpv. 1 Log, poiché tale norma specifica che il ricorso è ammesso solo ‘contro la decisione del Consiglio della magistratura’. Ora, non vi è chi non veda che privare i destinatari di una decisione di destituzione – ossia la sanzione disciplinare più grave tra quelle previste dalla legge – di una via di ricorso presso un’autorità giudiziaria, mentre questa paradossalmente rimarrebbe possibile per le altre sanzioni di minore gravità, sia altamente problematica sotto il punto di vista della compatibilità con le garanzie procedurali dedotte direttamente dagli articoli 6 Cedu (Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ndr), 29a e 32 della Costituzione federale, che richiedono in ogni caso un doppio grado di esame da parte di autorità giudiziarie (compreso l’eventuale ricorso in ultima istanza al Tribunale federale)”.
Secondo il governo, l’attribuzione al Gran Consiglio della competenza di destituire le toghe “comporterebbe inoltre una confusione fra la vigilanza disciplinare dei magistrati (per la quale è stato creato anche in Ticino un Consiglio della magistratura) e l’alta vigilanza del parlamento sulla gestione delle autorità giudiziarie, che è di tutt’altra natura, dovendosi occupare solo di questioni strutturali relative all’amministrazione del potere giudiziario quale la dotazione di personale, risorse materiali o ancora l’approvazione di leggi e regolamenti riguardanti la magistratura”. La modifica legislativa chiesta dall’Mps “sarebbe pertanto in contrasto con il principio della separazione dei poteri e quello dell’indipendenza della magistratura”.
Non solo. Per il Consiglio di Stato “anche il richiamo al cosiddetto parallelismo delle forme menzionato dai promotori dell’iniziativa (‘chi elegge, deve anche destituire’) è, in questo contesto, fuorviante: la procedura di elezione di un magistrato mantiene infatti tuttora – che piaccia o meno – una certa componente politica, mentre la procedura di destituzione per motivi disciplinari, che costituisce una vera e propria sanzione nei confronti di un magistrato in carica, deve essere condotta e decisa da un’autorità giudiziaria”.