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Niele Toroni, tra differenza e ripetizione

Presentata a Casa Rusca la prima grande retrospettiva di Niele Toroni, un viaggio attraverso sessant’anni di arte minimalista

(Ti-Press Samuel Golay)
14 marzo 2025
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«Ci sono alcune cose che io non avrei messo così, ma è una bella mostra… Oddio, bella, non so: voglio dire, chi vuole può vedere cos’è il mio lavoro; dopo può dire anche che non lo interessa». Niele Toroni, con sguardo attento e un accenno di sorriso sulle labbra, è appoggiato al suo bastone con alle spalle uno dei suoi Impronte di pennello numero 50, una grande tela con i caratteristici segni. Nell’opera alle sue spalle le impronte sono di un arancio intenso, «uno dei colori secondo me più belli: ogni tanto lo trovavi, un muro dipinto di arancio, ed era l’unico momento dove in certe strade potevi trovare un po’ di allegria ma era provvisorio, poi lo coprivano con un altro colore, perché i muri devono sempre del solito grigio!». Siamo nella sala al piano terra di Casa Rusca a Locarno, dove domani alle 17.30 sarà inaugurata la prima grande mostra retrospettiva dell’artista nato a Muralto nel 1937.

Il curatore della mostra Bernard Marcadé l’ha definita «la sala immersiva», quella con le opere di grande formato che mostrano subito al visitatore il lavoro artistico di Toroni. Un lavoro apparentemente semplice: le impronte di colore puro lasciate da un pennello numero 50, ripetute a intervalli regolari di 30 centimetri. Un metodo di lavoro – in una delle ultime sale si può vedere Toroni al lavoro in un video realizzato dall’amico e collaboratore Giovanni Varini – «incentrato sulla ripetizione», come ha spiegato Marcadé durante la presentazione della mostra. «Differenza e ripetizione, come ha detto Deleuze: non si riesce mai a ripetere esattamente la stessa cosa, il pennello lascia sempre un’impronta diversa».

Un’arte puramente fisica

Il riferimento filosofico a Deleuze, unito all’essenzialità del gesto artistico, che potrebbe far pensare all’arte concettuale. Ma sarebbe un errore: Toroni non è un artista concettuale perché, come ha spiegato Marcadé, l’elemento centrale non è l’idea, ma la materialità del gesto. È lo stesso Niele Toroni a confermarlo «Ho sempre pensato che la pittura è una cosa che si difende come pittura: chi ha bisogno di mettergli attorno un mucchio di storie vuol dire che se ne frega della pittura».

La pittura di Toroni è un’arte puramente fisica: «Non esiste, se non hai un pennello che è un oggetto, uno strumento di lavoro, e se non hai del colore con il quale quel pennello lascia la sua impronta. Esiste il pennello, esiste il colore, non la pseudoidea di chi è dietro e vorrebbe disegnare non so cosa. Ma su questo mi sento fuori, perché oggi l’arte mi sembra essere solo un modo che usano alcuni per dire quello che vogliono, ma così non è più pittura. Se vai a vedere Piero della Francesca vedi prima di tutto dei momenti pittorici: dopo, solo dopo puoi vedere la storia della vera croce, tutti gli aneddoti e i personaggi che sono nominati. Ma la prima cosa che vedi sono dei colori e delle forme. E quelle sono le cose interessanti».

Questo rifiuto, o forse sarebbe meglio parlare di disinteresse, per la concettualizzazione riguarda ovviamente anche il colore, come ha efficacemente sintetizzato durante l’incontro: «Se uno quando vede il giallo pensa alla sua pipì, tanto meglio per lui, ma non è un mio problema, io penso più al sole».

Errori di gioventù

Dopo la “sala immersiva” al piano terra, che come detto raccoglie opere della maturità di grande formato, la mostra prosegue in ordine cronologico-tematico. Così al primo troviamo i lavori giovanili, alcuni realizzati prima di trasferirsi a Parigi nel 1959 – «vedevo che gli altri ticinesi andavano tutti a Milano, a Brera, ma a me sembrava una brutta copia di Parigi e quindi meglio andare direttamente là» –, quando Toroni insegnava in una scuola a Maroggia e si è avvicinato alla pittura da autodidatta, guardando perlopiù al figurativo e all’espressionismo.

Opere che, dopo aver messo a punto il metodo delle impronte di pennello numero 50 a metà degli anni Sessanta – attraverso un percorso artistico sulla modularità che Marcadé ha messo in evidenza nella mostra – Toroni non poteva che considerare “errori di gioventù”. E gli errori si possono correggere: in mostra troviamo quindi queste opere corrette con l’aggiunta di alcune impronte di pennello. Ma di nuovo non dobbiamo concettualizzare troppo l’operazione: «Quando, dopo essermi messo a lavorare seriamente, ho trovato un po’ di quei lavoretti che avevo fatto prima mi sono detto “adesso li correggo e per ridere ci aggiungo un’impronta”. Era anche per fare dei regali gentili a qualche vecchio amico… poi tutti li hanno messi via e diventano opere d’arte. È un po’ come nella vita in generale: bisognerebbe raccontare tutte le cazzate che abbiamo fatto da giovani, ma non sarebbe mica sempre così divertente».

La fossa degli orsi

Nelle opere in mostra a Casa Rusca, le impronte di pennello numero 50 le troviamo sui supporti più disparati, dalle grandi tele a manifesti, pagine di giornali – una pratica iniziata quasi per caso in Giappone, ha raccontato Toroni, quando la sera gli veniva voglia di dipingere ma l’unico supporto disponibile erano appunto i quotidiani in vendita sotto la sua abitazione –, anche un tavolo da gioco per il bridge o delle radiografie.

«Questa mostra è anche il modo per capire come il suo lavoro continua a esistere nello spazio: per questioni di età, Toroni non ha potuto realizzare opere qui, sui muri del museo, e quindi abbiamo dovuto creare un nuovo rapporto con lo spazio, un nuovo dialogo, capire quanto siano autonome» ha spiegato il curatore. «Credo che questo sia un aspetto importante: non è lo spazio che si impone sui suoi lavori, ma il contrario, solo i suoi lavori che si impongono sullo spazio, che offrono qualcosa allo spazio». Un dialogo tra opere e spazi che nelle sale di Casa Rusca prende forme insolite, con alcuni dipinti negli angoli delle pareti oppure ancora nella cassa da trasporto perché non si riusciva ad esporre l’intera serie di 25 tele.

In una delle sale al primo piano troviamo due manifesti nei quali si vede si vede un quadro di Toroni appeso nella Fossa degli orsi di Berna. «Era un giochetto mio: avevo i miei lavori alla Kunsthalle, mi piace sempre andare a vedere gli orsi e quindi perché gli orsi non dovrebbero anche loro vedere il mio lavoro? Poi è chiaro, l’orso non lo vede come opera d’arte: vuole mangiarlo, quindi si avvicina, lo strappa e fa benone!». Le foto dell’orso che “gioca” con l’opera di Toroni sono opera del fotografo Balthasar Burkhard che, su incarico del celebre curatore Harald Szeemann, seguiva Toroni per documentare la mostra. Ne nacque un’amicizia che forse fu anche per merito di Toroni se Burkhard passò alla fotografia artistica – ricordiamo una sua mostra al Museo d’arte della Svizzera italiana nel 2018 – realizzando anche dei nudi in bianco e nero che dialogano con alcune impronte di Toroni in una delle sale più interessanti della mostra a Casa Rusca.

Guardare in aria

La mostra “Niele Toroni. Impronte di pennello n. 50, dal 1959 al 2024” rimarrà aperta fino al 17 agosto. Ma l’esposizione a Casa Rusca a Locarno è al centro di altre iniziative dedicate a Toroni iniziando da Ascona, dove il Museo comunale d’arte moderna ricorderà la personale dell’artista nel 1991 con una mostra sui rapporti tra Harald Szeemann e Niele Toroni, con inaugurazione congiunta domani alle 16 ad Ascona e alle 17.30 a Locarno. Sempre domani sarà eccezionalmente visitabile anche il Museo Casorella, dove verrà presentata l’opera del 1967 donata dall’artista alla Città di Locarno.

Abbiamo poi la pubblicazione, da parte delle Edizioni Casagrande in coedizione con il Museo Casa Rusca, del volume ‘Guardare in aria’ che raccoglie, oltre a diverse fotografie in bianco e nero e a colori, due lunghe interviste a Toroni condotte da Marcadé nel 1997 e nel 2024, una scelta di scritti brevi e brevissimi del pittore tradotti per la prima volta in italiano e la riproduzione anastatica di un libro d’artista da lui realizzato nel 1981. La presentazione del libro si svolgerà venerdì 13 giugno alle 18 nella Sala congressi di Muralto.