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Barbra Streisand e il segreto del tempo

‘The Secret of Life: Partners, Volume Two’ - ★★★★✩ - Nuovi duetti contro il logorio della musica moderna

28 giugno 2025
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“Il segreto della vita è apprezzare lo scorrere del tempo. Ogni pazzo può riuscirci”. Per parlare del nuovo disco di duetti di Barbra Streisand partiremo dalla canzone che dà (più o meno) il titolo all’album, col rischio che l’articolo diventi la storia di ‘Secret O’ Life’, composizione di James Taylor che vale quanto un anno dall’analista senza tirare fuori un solo franco, se non gli 0.99 centesimi del download. Scritta 48 anni fa per l’album ‘JT’, ‘Secret O’ Life’ affronta con leggerezza e tanta ironia la questione del tempo (“Anche Einstein diceva di non riuscire a capirla del tutto”) e, più in generale, quella dell’esistenza: “Nessuno sa come siamo arrivati in cima alla vetta, ma dato che ora stiamo scendendo, godiamoci il viaggio”. Ma soprattutto: “Siccome siamo qui solo di passaggio, mostriamo almeno un poco di stile”.

‘The Secret of Life: Partners, Volume Two’ (Taylor, umile di natura, tolse ‘The’ e ci mise ‘O’ per non passare da saccente) fa il paio con ‘Partners’ (2014), nel senso che ne è il seguito. Quella prima raccolta permise a Streisand di piazzare un disco al primo posto della Billboard 200 anche nel primo decennio dei Duemila, insieme ai primi posti nei Sessanta, Settanta, Ottanta, Novanta e Duemila. Se nel 2014 i duettanti rispondevano ai nomi di, tra gli altri, Michael Bublé, Stevie Wonder, Billy Joel, Andrea Bocelli e John Legend, questa volta – oltre che a quello del buon Taylor – rispondono a quelli di Paul McCartney, Sam Smith, Sting, Tim McGraw, Seal e Hozier. Sempre tra gli altri.

Le matitine colorate

In ‘Partners, Volume Two’ c’è anche il Dylan innamorato del jazz, che con la quasi coetanea canta lo standard ‘The Very Thought of You’. I due, che calcarono entrambi 19enni i palchi del Village, s’incontrano qui per la prima volta. “In quegli anni – racconta Barbra al New Yorker –, Bob mi faceva recapitare fiori e mi spediva bigliettini, scrivendo con le matite colorate che avrebbe voluto cantare con me, ma io all’epoca non capivo come avremmo potuto”, per tale diversità artistica. Quando, nel 2020, furono battute all’asta alcune trascrizioni del cantautore, lo stesso rivelò che ‘Lay Lady Lay’ (1969, sull’album ‘Nashville Skyline’) era stata scritta per Streisand e che era quella la canzone scelta per la collaborazione che non ci fu. Proprio cinque anni fa, dice oggi la cantante, Dylan scelse ‘The Very Thought of You’ per questa prima volta: “Bob ha sempre amato quella canzone. È un timido come me, ma è stato bello lavorare insieme. Mi era stato detto che non avrebbe accettato indicazioni, ma quando mi sono ritrovata a dare suggerimenti si è dimostrato aperto e malleabile. È rimasto in piedi per tre ore, e tutto quello che ho sentito dire su di lui è andato a farsi benedire”.

Evviva l’umiltà. Anche quando dovette cantare mezza strofa di ‘We Are the World’, Bob ci mise un’eternità. Gli venne in soccorso Stevie Wonder, che cantando ‘alla Dylan’ gli suggerì la melodia definitiva. Fatto sta che ‘The Very Thought of You’, aperta e puntellata dall’armonica a bocca del jazzista francese Grégoire Maret, è una delle cose più belle di questo disco.

In tempi di vacche magre

Prodotto da Walter Afanasieff (coautore di ‘All I Want for Christmas Is You’) e da Peter Asher, ‘Partners, Volume Two’ si affida ad alcuni session men storici: Dean Parks alle acustiche e Waddy Wachell alle elettriche, Russell Kunkel alla batteria, il barbuto Leland Sklar al basso, Lenny Castro alle percussioni e Greg Leisz alla pedal steel. Lanciato da ‘The First Time Ever I Saw Your Face’, cantata insieme a Hozier e portata volutamente lontana dalla versione di Roberta Flack (morta nel febbraio di quest’anno, due Grammy per quella canzone), il disco è un american songbook cui ricorrere in tempi di vacche magre musicali. Per ascoltare ‘My Valentine’, per esempio, di e con Paul McCartney (da ‘Kisses on the Bottom’, 2012), ma soprattutto ‘Letter To My 13 Year Old Self’, di e con la cantautrice islandese Laufey, versione ossequiosa verso l’originale (“Mi piacerebbe tornare indietro e abbracciarla, la me stessa 13enne, solo per dirle che è bella”).

Con Sting nella sua nuova voce (un timbro di testa un po’ fastidioso che l’ex Police ci regala da qualche anno), ‘Fragile’ porta parole nuove (“On and on the thunder calls / In every human heart / Some rain is bound to fall”). Con gli archi di Hans Zimmer (anche autore), la bella e sinfonica ‘Love Will Survive’, cantata per la serie tv ‘Il tatuatore di Auschwitz’, è ora un duetto con Seal. Per sinfonismo, fa il pari con ‘Where Do I Go From You’ scritta da Desmond Child, noto fabbricante di hit per Bon Jovi, Kiss e Cher, e cantata con Josh Groban. Sa di gospel il duetto con Sam Smith ‘To Lose You Again’, sa di ginnastica ‘One Heart, One Voice’, con Mariah Carey e Ariana Grande incapaci, come sempre, di cantare mezza nota dritta senza autoerotismi vocali. Barbra invece canta dritta, e come Mina è incollocabile nel tempo. Un tempo che scorre inesorabile e che Streisand, forse convinta da Taylor, pare non temere.