Georges Schoucair, Myriam Sassine e una casa di produzione che sfida guerre e stereotipi: ‘Nelle difficoltà troviamo la motivazione’
Il premio del Presidentissimo va per definizione a “un produttore indipendente, per mettere in evidenza una figura chiave del processo creativo cinematografico e riconoscerne il coraggio e la capacità di sostenere gli autori”. Al primo piano di un noto caffè di Piazza Grande sediamo davanti a Georges Schoucair e Myriam Sassine, rispettivamente Ceo e lead producer della Abbout Productions. Dal Rezzonico Award ancora da consegnare portiamo in dote due parole, ‘coraggio’ e ‘capacità’, che per Schoucair sono una cosa sola: «Metta insieme quindici anni di storia, il mondo che è esploso e trenta film prodotti, il risultato è davvero coraggio e capacità, mi creda».
Abbout è un perno produttivo e distributivo per l’intera regione, è fonte di opportunità per artisti e cineasti libanesi e arabi, è portavoce di un cinema indipendente che ha raggiunto, per esempio, Venezia con ‘Costa Brava, Lebanon’ di Mounia Akl e Berlino con ‘Memory Box’ di Joana Hadjithomas e Khalil Joreige, il secondo dei quali proiettato ieri al GranRex. A Schoucair, inoltre, si deve il recupero del Metropolis di Beirut, l’unica art house della regione, e a Sassine la co-fondazione del Maskoon Fantastic Film Festival, l’unico festival del mondo arabo dedicato ai film di genere. E quindi «quello del Locarno Film Festival è da una parte un premio importante perché viene attribuito a una realtà libanese e dall’altra perché è raro che i premi del cinema vadano a case di produzione», dice Schoucair. O comunque «non a produttori della nostra regione», aggiunge Sassine.
‘Abbout’ è il soprannome della moglie di Khalil Joreige, regista anche di ‘A Perfect Day’, in Piazza Grande nel 2005; il logo è un grillo e (animale per animale) il pardo ritirato ieri nella medesima piazza è anche un premio alla continuità, sostantivo che in Libano è più o meno un sinonimo di ‘miracolo’. Sassine: «Produrre film nella nostra regione è un atto di follia, anche un po’ naïf, non solo per la difficoltà nel trovare fondi ma anche per fatti inaspettati come il disastro del 2020». Quell’anno, l’onda d’urto del nitrato d’ammonio stoccato nel porto di Beirut investì anche Myriam, che si trovava in ufficio e rimase ferita. Schoucair: «Il nostro sforzo quotidiano non è solo psicologico, porta con sé anche un rischio fisico». Senza interruzione di sosta: «Negli ultimi tre mesi di guerra abbiamo prodotto tre film e il lavoro al Metropolis non si è mai fermato».
Myriam aggiunge altri ‘folli’ dettagli: «Nel mio caso la scintilla è stata l’incontro con Georges. Avevo lavorato con produttori stranieri ma a Beirut tutti parlavano di lui. Io sostenevo che l’esistenza di un produttore in Libano fosse una falsa informazione e quando infine mi è stato presentato, la sua visione del futuro e la passione nel lavoro hanno messo a tacere chi mi avevano scoraggiato anche solo dal sognare una carriera nel cinema. Lavorando insieme abbiamo scoperto questa tendenza a sognare e a incoraggiare la follia di altri». Retto da un apprezzabile black humor, il racconto della genesi di ‘The Sea Ahead’, film di Ely Dagher prodotto da Abbout, aggiunge altra follia…
Myriam: «Abbiamo iniziato a produrlo nel 2019, subito dopo il collasso finanziario, quando il sistema bancario libanese non c’era più, i soldi erano fuori e non potevamo disporne perché era impossibile effettuare trasferimenti. L’unica soluzione per produrre film erano i contanti, chiedevamo a chiunque venisse a trovarci dall’estero di portarlo per noi...». Georges: «La mia scrivania era una montagna di contanti, a un certo punto il mio ufficio sembrava quello di Pablo Escobar». Myriam: «Era una situazione surreale, specchio della situazione politica e finanziaria ma anche della resilienza di un gruppo di creativi anche a livello finanziario, per la disperazione del contabile di Abbout. Credo che abbiamo rischiato di scontrarci contro un muro a tutta velocità, ma i film si sono chiusi e siamo orgogliosi». Mai pensato di mollare tutto e stabilirvi altrove? Georges: «Amiamo lavorare qui, lo facciamo per la nostra nazione e per noi stessi. Nelle difficoltà troviamo la motivazione».
Tanti giovani filmmakers, tante storie da raccontare e sempre meno produttori. È questa la scena libanese secondo Sassine. A poco è servito il coaching di Schoucair. Molti aspiranti produttori oggi si fermano al primo film, perché costa troppo, Abbout non può produrre tutto quello che sarebbe bene produrre, con la crisi finanziaria gli sponsor hanno ritenuto che i film non fossero una priorità. Vecchia storia, non solo libanese. Ma la casa di produzione tiene duro.
Dalla motivazione del Rezzonico Award: “(Abbout) Ha contribuito a dare vita a un’immagine lontana dagli stereotipi delle narrazioni ufficiali di un Paese lacerato da conflitti e da instabilità politica”. Gli stereotipi del Libano in cui la gente «altro non fa che combattere e condurre vite misere, il Libano dei party selvaggi e del turismo sfrenato, al mare di mattina e a sciare di pomeriggio», dice Myriam, «ma è solo una parte del racconto».
Narrazione non stereotipata è quella contenuta in ‘Costa Brava, Lebanon’, storia di una famiglia che lascia la Beirut inquinata per la montagna, luogo idilliaco fino alla costruzione di una discarica. «‘Costa Brava’ è storia contemporanea in mezzo a tanti film sulla guerra civile, importanti perché scarsamente documentata e i film storici fanno archivio, ma sono comunque legati al passato». Iniziato con l’idea di descrivere la crisi dei rifiuti iniziata nel 2015, il film ne ha incrociato il climax: «C’è stato un momento nel quale le aziende preposte hanno smesso di raccogliere la spazzatura e per due mesi abbiamo visto la sporcizia impilarsi come in una distopia zombie», trasformando ‘Costa Brava’ in un film sul presente, più che sul futuro.
Con Georges Schoucair siamo stati idealmente al Metropolis, che da piccolo spazio è cresciuto e subito dopo l’esplosione del 2020 ha trovato la sua collocazione definitiva: lo spazio davanti al disastro, cosa piaciuta agli sponsor. Metropolis che è complementare ad Abbout: «Qui contrastiamo lo strapotere statunitense, che ci rende difficile proiettare un film per più di due o tre settimane. Sui nostri schermi può restarci anche un mese». E con Myriam Sassine siamo stati al Maskoon Fantastic Film Festival, da lei creato con Antoine Waked, collega di Abbout. «Per tanto tempo abbiamo ricevuto progetti basati su drammi sociali e commedia popolare e ci siamo chiesti come mai nessuno volesse girare horror, thriller o fantascienza. Secondo i filmmakers quei generi erano b-movies, così abbiamo mostrato loro film di genere che sono anche film d’autore, a cominciare da Kubrick. Abbiamo creato un piccolo contest di corti, proposto alle scuole di film, la community alla fine è cresciuta, il preconcetto sui film di genere si è allentato e abbiamo iniziato a produrne».
Lasciamo il caffè con le parole di Schoucair, baritonali e ispirate come le precedenti. «Un produttore ha opportunità che i registi non hanno, possiamo trasformare le storie in film in numero più ampio di quanto può fare un regista, che di solito gira ogni due anni. La nostra creatività non sarà forse la stessa, ma è bello veder crescere così tanti film e documentari tutti insieme». E non c’è un film di cui Schoucair va più fiero di altri: «La mia risposta a questa domanda è sempre ‘le persone che ho incontrato’. Abbout non cerca progetti ma persone, perché sono le persone a portare i progetti».