Locarno Film Festival

Gaza Calling

Il Festival di Locarno si fa carico del tempo presente. Con le parole e soprattutto con i silenzi

(Edoardo Nerboni)
8 agosto 2025
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Non suonasse come il trito slogan di un emporio, potremmo dire che al Festival “c’è di tutto e di più”: una sorta di piacevolmente caotico bazar dove trovi sempre qualcosa di interessante, di notevole, di bello o di urgente.

Ieri era la giornata del Premio Raimondo Rezzonico alla libanese Abbout Productions e al loro cinema indipendente; ma era anche la giornata di William Dafoe, istrionico protagonista del film in Piazza Grande, di Pippo Delbono, dei primi film del Concorso internazionale e di tanto altro. Ma giovedì 7 agosto è stata forse soprattutto la giornata di Gaza.

Evocata, e in alcuni casi citata esplicitamente, nei discorsi di apertura, Gaza è la cartina al tornasole della reale capacità del cinema e del Festival di farsi carico dell’attualità. In modo diverso dall’Ucraina e dagli altri conflitti – e lo scriviamo senza voler far classifiche di sofferenza o ingiustizia –, è con Gaza che si vede la capacità di raccontare la complessità, di creare momenti di riflessione e di discussione. Ma anche di essere, parole dell’attrice Golshifteh Farahani in Piazza Grande, un rifugio: non per ignorare quello che accade nel mondo, ma per immaginare un mondo diverso che ci dia la forza di lottare per un cambiamento.

Gaza, a Locarno, è arrivata come accennato con i discorsi ufficiali, in particolare nelle parole della consigliera di Stato Marina Carobbio durante l’inaugurazione e in quelle del direttore artistico Giona A. Nazzaro in Piazza Grande. Ma è arrivata, ieri, con il primo film del Concorso internazionale: ‘With Hasan in Gaza’ di Kamal Aljafari, il ricordo, quasi un monumento, di una Gaza che non esiste più, quella del 2001 recuperata in alcuni video che il regista ha ritrovato due anni fa. Ma Gaza, ieri a Locarno, era presente anche con due manifestazioni, una nelle vie del centro, l’altra nel cuore del Festival.

Intorno alle 19, quando arrivano i festivalieri della sera e i locarnesi tornano a casa, un rumoroso corteo è partito dalla stazione diretto verso il centro: raggruppate da slogan dei più disparati, e diverse bandiere palestinesi, alcune decine di persone hanno marciato battendo pentole vuote con l’obiettivo di protestare contro la fame usata come arma. Iniziativa meritevole, anche se il rumore sembra aver più che altro incuriosito e infastidito, senza lasciare granché nei passanti che si sono imbattuti nel lungo striscione “Palestina libera”.

Radicalmente diverso l’approccio della manifestazione serale che ha puntato sul silenzio. Alle 21.30, quando tradizionalmente in Piazza Grande iniziano le presentazioni e i discorsi, il pubblico si è alzato in piedi e ha mostrato una cartolina bianca con una garza insanguinata. Gli organizzatori – il gruppo apartitico e aconfessionale che aveva già organizzato una manifestazione a Bellinzona, aveva distribuito all’entrata della piazza cinquemila cartoline con una simbolica garza insanguinata e la scritta “Stop al genocidio”.

Al di là delle rivendicazioni precise – l’indifferenza e una neutralità che non può essere intesa come “equidistanza fra le ingiustizie dei carnefici e il dolore delle vittime” –, è il silenzio, più del rumore, ad aver aperto quello spazio di riflessione di cui abbiamo bisogno.

Dopo un minuto di silenzio che a tutti è sembrato durare molto di più, ha preso la parola il direttore artistico Giona A. Nazzaro. «Questa manifestazione di preoccupazione e indignazione, questo è il cuore pulsante di Piazza Grande, questo è quello che rende questo Festival così amato e unico nel mondo».