‘Fantasy’ della regista slovena Kukla e ‘Blue Heron’ della canadese-ungherese Sophy Romvari
Il Concorso Cineasti del presente, dedicato a opere prime e seconde, si è aperto ieri con due lungometraggi forti e personali, diversi per approcci cinematografici ma accomunati da un tema comune: la ricerca, o forse la costruzione, di noi stessi.
‘Fantasy’, prima fiction di Kukla, presenta la storia di tre ventenni slovene non conformiste – Sina, Mihrije e Jasna, ovvero Mina Milovanović, Sarah Al Saleh, Mia Skrbinac; le prime due attrici non professioniste selezionate tramite street casting – che praticano kickboxing e rifiutano le aspettative sociali conservatrici della città industriale dove vivono. La svolta narrativa arriva con l’incontro con Fantasy (Alina Juhart), una giovane donna transgender macedone che avvia nelle tre ragazze un percorso di trasformazione: Mihrije, di origini albanesi, fugge con Fantasy in Macedonia per sottrarsi a un matrimonio combinato; Sina, nonostante le sue perplessità, si impegna in una relazione sentimentale, mentre Jasna decide di lasciare il suo lavoro poco soddisfacente per imbarcarsi su una nave da crociera diretta in Francia.
Questo progetto, sviluppato attraverso il programma Cinéfondation di Cannes e Les Arcs Film Festival, è lo sviluppo del cortometraggio ‘Sisters’ del 2021, vincitore del Grand Prix al Festival di Clermont-Ferrand. Kukla arriva inoltre dal mondo dei videoclip e qualche influenza si vede in alcune sequenze piacevolmente ironiche che contribuiscono al ritmo della narrazione. Il risultato è una interessante e non banale riflessione sulla definizione della propria identità e la libertà di diventare ciò che siamo; la regista dedica il film “a tutti coloro che hanno nascosto le loro vere identità dalla violenza della società normativa”.
‘Blue Heron’ è invece il primo lungometraggio di Sophy Romvari, apprezzata regista di corti ma che, come mostra quest’opera, sa come gestire il diverso respiro di un film di 90 minuti. ‘Blue Heron’ ha una struttura narrativa su due piani temporali: negli anni 90, la famiglia ungherese immigrata della regista si trasferisce in Canada, dove affronta il comportamento problematico del figlio maggiore Jeremy; nel presente, la protagonista adulta Sasha (Amy Zimmer), diventata assistente sociale e indaga sulla storia della propria famiglia.
Siamo di fronte a un approccio ibrido documentario-fiction (che Romvari definisce “autoetnografico”), ben gestito con la doppia prospettiva temporale e con un lavoro di regia che riesce a trasformare la memoria personale in narrazione universale. Il tema è di quelli difficili che facilmente schiacciano chi realizza e chi guarda il film, ma Romvari lo affronta con una delicatezza che non toglie nulla alla profondità e non cede al sentimentalismo. Ad animare la ricerca della regista è la volontà di capire cosa sia accaduto, per sé stessa e per noi.