laR+ Locarno Film Festival

‘The Cowboy’, la tenerezza di uno sguardo che cresce

Un ‘Boyhood’ rurale lungo 10 anni, tra rodei e roulottes, cavalli e tori, sogni grandi come l’America poi inafferrabili come la polvere della terra

Diretto da André Hörmann
(©telekultT.Bergmann)
9 agosto 2025
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Sono in generale molto grata ai documentari. Raccontano storie vere e quando lo fanno con la delicatezza dell’oggettività, narratori esterni senza focalizzazione, è quasi un onore essere spettatori della narrazione reale che si srotola. Spesso non siamo nemmeno così sicuri di voler guardare la storia che sta per iniziare, oppure di ascoltare voci che abitano il nostro presente, controverse e scomode, che stridono. Eppure, quando sono opere scelte come quelle della Semaine de la critique è raro che si esca dalla sala pentiti.

Non è successo nemmeno ieri con ‘The Cowboy’, che apriva la selezione. E quando dicevo grata, poche righe fa, è perché è la sensazione che ho provato mentre seguivo l’epopea di Crowley, prima bambino, poi ragazzo e poi giovane adulto che con la sua camicia a scacchi si staglia di fronte alla vastità del Colorado.

Un ‘Boyhood’ rurale, il film diretto da André Hörmann, che ha iniziato a girare nel 2015 quando il protagonista aveva 11 anni per finire quando di anni ne avrà 21. La fotografia abbraccia i larghi spazi e lo squallore, il colore è sfumato, il quadro è edulcorato. Quel che sentiamo e vediamo è in realtà il racconto di una vita come tante, senza troppe sfumature e coi conti da pagare.

Sono dieci anni passati in una famiglia, perché anche se la camera segue prevalentemente Crowley, la storia è anche quella delle persone con cui vive, di un nucleo distrutto nella maniera più banale – attraverso perdite, alcol e violenza, in scala, e allargando lo sguardo di un’intera società. (Ci sono anche dei bei riscatti e le figure femminili tengono botta). Rodei e roulottes, cavalli e tori, sogni grandi come l’America poi inafferrabili come la polvere della terra. Un bambino che fa l’adulto al volante e col fucile, ma che una volta grande sembra aver perso fermezza e obiettivi, nemmeno la Bibbia sul cellulare può più aiutarlo.

Passiamo attraverso 10 anni di storia americana, Trump, il Covid, Biden e poi ancora Trump, con la tenerezza di uno sguardo che cresce, si fa disilluso, incontra prima l’amore e poi la morte, la famiglia e la solitudine, l’odio per la scuola e la volontà di stare in sella, la stabilità e il lavoro precario. I grandi sogni si sganciano dalla realtà, ma incredibilmente, a ogni passaggio di anno, Crowley sembra dirci – a volte lo esplicita proprio – ‘It’s not a bad life at all’.