‘Sorella di clausura’ della serba Ivana Mladenović, commedia dark che sfida lo spettatore, e i campi da calcio di ‘Dry Leaf’ di Alexandre Koberidze
Scottano le maniglie dei negozi esposte al sole, e caldo e umidità stanno segnando le giornate del Festival, ieri in qualche sala è saltata l’aria condizionata e qualcuno ha rischiato di svenire. Il Festival va avanti, altri due film sono passati in Concorso con probabilità di andare a premio. Il primo è ‘Sorella di clausura’ della serba Ivana Mladenović, che nel 2019 proprio qui aveva vinto con ‘Ivana the Terrible’ il premio speciale della giuria di Cineasti del presente.
“È un’affettuosa parodia dei melodrammi romantici. Ambientato ai margini dei Balcani durante la crisi del 2008, il film analizza il legame tra sesso e denaro per capire se in un mondo in rovina il primo possa sostituire il secondo”, dice la regista. Il film segue la routine quotidiana di Stela (una magnifica e sorprendente Katia Pascariu), donna dolorosamente mediocre che si sta avvicinando al lato meno desiderabile della mezza età ed è alla disperata ricerca dell’amore. Siamo in Romania, sulle sponde del Danubio, qui Stela vive con i genitori, ha studiato filosofia e la sua unica occupazione fissa è sognare di incontrare Boban, leggenda musicale dei Balcani, di cui è infatuata. Lo insegue dovunque, rubando i soldi della pensione del nonno per comprare i biglietti dei concerti.
Donna dalle strampalate conquiste amorose, Stela cerca un significato in un mondo in cui inizia a credere di non poter appartenere, per lei la vita è terribilmente noiosa e inutile, strana e difficile da comprendere, non vede un futuro e tenta di suicidarsi. Ma conosce finalmente Boban... ‘Sorella di clausura’ è una commedia dark e al tempo stesso nichilista. Applausi a una regista, Ivana Mladenović, che sfida e provoca lo spettatore.
Su un altro livello cinematografico si situa ‘Dry Leaf’ di Alexandre Koberidze con protagonista suo padre, un bravo David Koberidze, e con le musiche straordinarie del fratello Giorgi Koberidze, per un film girato con un buon telefonino del 2009. Il regista, grande appassionato di calcio, spiega così il suo film: “Nel calcio, la ‘foglia secca’ è un tiro dalla traiettoria imprevedibile. Come per i nostri personaggi, che si affidano al viaggio lasciandosi portare dal vento”. L’omaggio al mitico Mariolino Corso, inventore della ‘foglia morta’, farà contenti i nostalgici interisti, ma serve per dire di un film in cui i protagonisti si inseguono avendo come punti di riferimento campi da calcio, sparsi tra valli e montagne georgiane.
Tutto inizia quando Lisa, una giovane fotografa, scompare dalla sua casa a Tbilisi lasciando una lettera ai genitori in cui chiede loro di non essere cercata. Il padre indaga al giornale in cui lavorava la figlia, scoprendo che questa stava preparando con una collega un libro fotografico sui campi da calcio del territorio. Con questa vaga traccia in mano, il padre si mette in viaggio portando con sé la migliore amica della figlia, Levani, una persona che resterà invisibile, come altre che incontrerà nel suo vagare. Una scelta di regia, dice all’inizio il film. Mentre il paesaggio scorre e i due si spostano da uno stadio all’altro, i paesaggi, gli animali, mucche e cavalli soprattutto, le persone e le loro storie cambiano, e con ogni campo da calcio e ogni villaggio, le possibilità di trovare Lisa diminuiscono. Ma Lisa ha lasciato un’altra lettera...
Film epico, poetico, moderno e nello stesso tempo antico, con tanti momenti in cui musica e immagine si sposano senza il peso del parlato, ‘Dry Leaf’ è l’umanità che trionfa nella bellezza del suo essere.