laR+ L’intervista

Richard Galliano: il viaggio, il suono, la melodia, l’amore

Sono le cose che più ama il grande fisarmonicista, con Paolo Fresu e Jan Lundgren nel ‘Mare Nostrum’ che bagnerà Lugano il 26 aprile

Galliano e la sua Victoria. Nel 2025, a trentadue anni da ‘Viaggio’, uscirà ‘New Viaggio’
(Keystone)
9 aprile 2025
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Di ritorno da Parigi, ci risponde dai dintorni di Nizza, città nella quale è nato e ancora vive. «In mezzo alla campagna», ci tiene a specificare. Insieme alla moglie è in partenza per Milano. «Ci andremo in auto, perché a me piace molto guidare. Il treno e soprattutto l’aereo invece sono un problema, soprattutto per la mia fisarmonica». Ce la immaginiamo, la sua Victoria degli anni Sessanta, con un posto al suo fianco in aereo come la Lucille di B.B. King.

Richard Galliano, il cui nome nel mondo significa, appunto, fisarmonica aveva preferito le quattro ruote anche per il suo ultimo viaggio in Ticino, nell’ottobre del 2024 verso il Teatro Dimitri, «luogo di grandi intimità» nel quale era tornato dopo i precedenti concerti del 2018 e 2019. «Il mio modo di viaggiare è un poco antico, ma è l’unico modo per vedere da vicino questi posti, per godere del paesaggio e avere qualcosa da dire quando suoniamo».

Il 2025 sarà l’anno di un album cui Galliano tiene tanto. «Nomino sempre ‘Viaggio’ quando mi chiedono di scegliere il disco che amo di più». Rimasterizzato, in doppio vinile e con bonus track, il ‘Viaggio’ del 1993 tornerà come ‘New Viaggio’, il viaggio che continua. «Credo davvero sia il disco più bello che io abbia mai fatto, con Bireli Lagrene alla chitarra, Pierre Michelot, il contrabbassista che ha suonato con Miles Davis, e Charles ‘Lolo’ Bellonzi, a mio parere il più grande batterista francese di jazz. Quel disco ha un’energia fantastica, è un cerchio che si chiude».

Galliano non sa ancora se andrà in auto anche a Lugano, sabato 26 aprile in direzione del Palazzo dei Congressi. La cosa certa è che con lui, dalle 20.30, ci saranno il sardo Paolo Fresu (tromba) e lo svedese Jan Lundgren (pianoforte), per proseguire la rotta tracciata da ‘Mare Nostrum’, collaborazione nata nel 2007 (galeotto fu il Giappone e una jam session) e giunta al quarto album. Quando Lugano lo applaudirà, il trio sarà già transitato dall’Italia del nord e del sud, da Austria, Germania e Taiwan, appuntamenti di un calendario che per il fisarmonicista francese di origini italiane è da sempre ricchissimo.

Richard Galliano, sullo smettere di suonare lei è stato molto chiaro: ‘Io in pensione non ci posso andare, perché impazzirei’…

Eh sì. Proprio questa mattina ho sentito di tutti i problemi che esistono in Francia per avere una pensione, il dibattito sull’età alla quale andare. Io ho 75 anni e non ho intenzione di fermarmi perché la musica è il mio lavoro e soprattutto è un grande piacere. Come dice George Bernard Shaw, “non ci fermiamo perché invecchiamo, ma invecchiamo perché ci fermiamo”.

La sua collaborazione con Astor Piazzolla è generosa di dischi ma pure di citazioni: ‘Prima di assumere un nuovo musicista devo cenare con lui, non mi fido delle persone che non bevono’, le disse Piazzolla. È questo il segreto della lunga storia di ‘Mare Nostrum’?

Sono ormai vent’anni che suoniamo insieme, facciamo pochi concerti all’anno ma ogni volta è un piacere. Suono con due grandi musicisti e brave persone, dall’anima forte e calorosa. Per Mare Nostrum non abbiamo mai fatto una sola prova, tutti i dischi sono stati registrati direttamente in studio. Ognuno porta del materiale, una composizione o una proposta, la suoniamo una volta sola ed è fatta. È l’approccio che appartiene al jazz, una musica senza assicurazione, senza rete: ci tuffiamo direttamente in acqua.

È un mare molto grande il vostro, che unisce il Mediterraneo al Mare del Nord, un mare nel quale accade di tutto…

La musica è l’esatto contrario della politica, e laddove la politica separa il mondo, in musica non c’è frontiera perché la musica è un veicolo di amore e bellezza. È vero, succedono tante cose in questo mare e sopra le nostre teste, e che si tratti di classica o jazz, in mezzo a tanta aggressività non amo ascoltare musicisti che suonano in modo aggressivo. Mi piace la musica che consegna belle vibrazioni.

‘C’è un problema con la musica attuale, anche in quella leggera e classica: mancano armonia e melodia, e gli arrangiamenti sono poveri’. Sono trascorsi dieci anni da questa sua dichiarazione: la pensa ancora così?

Ascolto ottimi musicisti e compositori nel mondo, ma non riesco ad ascoltare musica priva di melodia e armonia. I compositori sanno fare il loro lavoro, gli arrangiatori sanno arrangiare e i produttori sanno produrre, in ogni ambito musicale, anche nella musica contemporanea, ma spesso a me non resta nulla. Non c’è un discorso, non c’è una lingua, se penso a quella di Bach, o di Chopin, ma esiste una lingua bellissima anche nella canzone leggera. Non dico che sia negativo, dico solo che la musica è piena zeppa di cose inutili. Preferisco non parlare di composizione se non c’è una melodia viva e interessante.

Quanto a melodia, le sue origini italiane la avvantaggiano. Il binomio italiani-melodia è un luogo comune o un dato reale?

È così. Chopin diceva ai suoi allievi di ascoltare le melodie italiane, è scritto nel libro ‘Chopin vu par ses élèves’. Secondo lui, ogni successione di note sul pianoforte doveva avere un riferimento al canto italiano. Nemmeno Chopin amava suonare troppo forte, il pianoforte non è un cane che abbaia, va accarezzato. Sono valori di cui ancora tengo conto.

Tra musicisti ci si sceglie: anche per gli strumenti è così? Lei suona una fisarmonica da tutta una vita…

Ho una vecchia Victoria degli anni 60, anche se a casa ne ho almeno altre venticinque di marchi molto famosi. Ma con questa è vero, ho un rapporto particolare. Compongo al pianoforte, suono il trombone, il bandoneon, l’armonica a bocca, tutti gli strumenti mi piacciono. Con la maturità dei miei 75 anni ho bisogno di scegliere cose semplici e che mi permettano di sviluppare la melodia, quella che cerco sempre.

Per l’armonicista Toots Thielemans, con cui lei ha lavorato, il jazzista è uno che suona due note ed è riconoscibile. Anche per lei la riconoscibilità è il tratto fondamentale?

Non solo Toots sosteneva questo concetto. Io credo sia il suono di un musicista la componente più importante. Quando si ascolta una singola nota di Miles Davis o di Oscar Peterson, sappiamo subito chi sta suonando. L’identità di linguaggio è qualcosa che unisce Bach a Chopin a Charlie Parker, c’è una lingua speciale in ogni artista. Da parte mia, ho sempre cercato di avere un bel suono, credo che il pubblico sia sensibile a una bella nota, a una bella sonorità, pulita, essenziale. Metto il suono insieme alle cose che amo di più: al viaggio, alla melodia e all’amore.


Da sinistra: Fresu, Galliano e Lundgren, ‘Mare Nostrum’