Intervista al flautista Andrea Oliva, in concerto con i suoi allievi dell’Academy di Ticino Musica domani a Rovio, esplorando le sfumature dello strumento
Considerato uno dei più affermati flautisti europei, Andrea Oliva ha calcato i palcoscenici delle più importanti sale da concerto del mondo. Primo flauto solista dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, docente appassionato, solista e camerista, si presenterà in concerto insieme ai suoi allievi dell’Academy di Ticino Musica domani, martedì 22 luglio, alle 20.30 alla Chiesa della Madonna a Rovio in un concerto di alto livello che esplorerà le molteplici sfumature dello strumento. Sarà inoltre protagonista dei concerti Grandi maestri e giovani promesse, previsti per il 28 luglio a Lugano e il 29 luglio a Ligornetto.
Il suo percorso l’ha portata nei più grandi teatri internazionali. Che significato ha per lei tornare a lavorare a stretto contatto con giovani musicisti?
Dopo aver avuto la fortuna di imparare dai più grandi maestri e di costruire una carriera, sento quasi un dovere morale nel restituire ciò che ho ricevuto. Più si formano i giovani, non solo sul piano tecnico-musicale, ma anche umano, più avremo generazioni di buoni musicisti nelle orchestre del futuro.
Ha lavorato con musicisti e direttori straordinari. Quali esperienze l’hanno segnata di più, musicalmente e umanamente?
Tra le più significative ci sono sicuramente le esperienze nelle grandi orchestre giovanili, come la Mahler o i Berliner all’Accademia Karajan. E l’incontro con direttori come Claudio Abbado, Simon Rattle, Gustavo Dudamel, Daniel Harding che adesso ho la fortuna di avere come direttore stabile a Roma. Questi maestri mi hanno insegnato ad avere uno sguardo olistico sulla musica: non limitarsi alla propria parte, ma aprire lo sguardo all’armonia, la tonalità, le partiture, e dialogare con gli altri strumenti. La musica da camera, da questo punto di vista, è una scuola fondamentale sin dai primi anni di studio. Sapersi ascoltare, guardare, respirare insieme: è questa la vera base del far musica.
Ticino Musica propone anche concerti in cui maestri e studenti condividono il palco. Cosa rappresenta questa esperienza?
È una delle cose più preziose che questa rassegna offre. Suonare insieme significa creare uno scambio reale: da una parte, i maestri devono essere in forma, preparati, capaci di dare l’esempio. Dall’altra, riceviamo energia, entusiasmo e anche nuove prospettive dai più giovani, che sono spesso in gran forma. È uno stimolo reciproco, dove si cresce insieme. Per i ragazzi, vedere il proprio docente suonare accanto a loro è una lezione potentissima, forse anche più di una lezione tradizionale. È un’esperienza viva, che lascia il segno.
Il flauto è spesso associato a leggerezza e brillantezza, ma sa anche esprimere profondità e dramma. Come si sviluppa questa ampiezza?
Ho studiato diverse scuole cercando di tenere le parti migliori di ognuna di esse: la cantabilità della scuola italiana, la precisione tecnica di quella francese e il suono grande tedesco. Oggi il flauto deve saper competere, a livello di suono, con un violino, un pianoforte, un clarinetto. Questo richiede tecnica, ma anche una scelta accurata dello strumento. Per esempio, per suonare nella sala di Siracusa, quasi tremila posti, ho cambiato tre flauti prima di trovare quello con la proiezione giusta.
Che consiglio darebbe a un giovane flautista che sogna una carriera internazionale?
Il primo consiglio, sembra banale, è studiare. Serve uno studio ampio, che punti alla crescita complessiva e non si focalizzi sulla preparazione di un unico programma di concorso. Trovare il maestro giusto, non accontentarsi, che può accelerare moltissimo l’apprendimento. E poi serve determinazione. Concentrarsi e spegnere il telefono. Lo dico per esperienza: anche una sola notifica può distrarre. Oggi il livello è altissimo, ma chi ha chiarezza di obiettivi e non molla, fa la differenza.