laR+ L'intervista

Guy Braunstein: ‘La musica? Mi fa sentire come un bambino in un negozio di giocattoli’

Il grande violinista alle Settimane Musicali con la Budapest Festival Orchestra nel concerto di martedì 23 settembre alle 19.30 in San Francesco a Locarno

Guy Braunstein
(Boaz Arad)
22 settembre 2025
|

Quando la Budapest Festival Orchestra si esibisce sotto la direzione di Iván Fischer ci si può aspettare molto più della semplice perfezione tecnica: è un viaggio alla scoperta del suono, delle emozioni e spesso anche dell’umorismo. Nel concerto che l’orchestra terrà martedì 23 settembre alle 19.30 in San Francesco a Locarno, il pubblico potrà ascoltare un programma sfaccettato: la festosa Suite orchestrale n. 4 di Bach, la ‘Dance Suite per violino e orchestra’ di Fischer – un’opera giocosa in cui le forme barocche si mescolano con Bossa Nova e Boogie Woogie – e infine l’estatica Settima Sinfonia di Beethoven. Ad accompagnare l’orchestra, Guy Braunstein, un tempo il più giovane primo violino dei Berliner Philharmoniker e oggi solista, compositore e direttore d’orchestra di fama internazionale. Abbiamo parlato con lui di umorismo nella musica, di esperienze con compositori viventi e del motivo per cui il primo giorno di scuola dei suoi figli lo rende più nervoso di un concerto davanti a migliaia di persone.

Guy Braunstein, ha avuto modo di confrontarsi con la ‘Dance Suite’ di Fischer prima ancora della sua esecuzione in pubblico. Com’è stato partecipare al processo creativo?

Assistere alla nascita di quel brano è stato un grande privilegio. Ho potuto fare suggerimenti, alcuni dei quali sono stati accolti. Mi sono sentito un po’ come Joseph Joachim con Brahms o Leopold Auer con Čajkovskij (grandi interpreti del violino che hanno strettamente collaborato coi due celebri compositori, ndr).

La suite di Fischer è piena di ironia e giocosità. C’è ancora spazio per l’umorismo nella musica classica?

Certo. È sempre stato così. Haydn amava sorprendere e confondere il suo pubblico. Ironia, contrasti e sorprese fanno parte della musica tanto quanto gioia, dolore o rabbia. L’esperienza umana non è cambiata così tanto. La grande musica ci permette di vivere molte emozioni. La suite di Fischer lo fa in modo contemporaneo, ma rispettoso della tradizione.

Ha eseguito con Fischer anche il suo Concerto per violino ‘Abbey Road’, ispirato all’album dei Beatles. Come ha vissuto quell’esperienza con la Budapest Festival Orchestra?

È stata fantastica. Naturalmente io conoscevo il brano alla perfezione, avendolo composto. Per l’orchestra invece era totalmente nuovo, ed è proprio questo che ha reso l’esperienza stimolante. Abbiamo scoperto, provato e affinato insieme il pezzo. È un po’ come in certe prove di un quartetto d’archi, in cui uno solo conosce il pezzo e gli altri lo scoprono cammin facendo. È molto arricchente.

Lei ha suonato anche con la West-Eastern Divan Orchestra di Daniel Barenboim. Com’è stata quell’esperienza?

Speciale. Quando Barenboim mi invitò, accettai alla sola condizione di potermi sedere in fondo, dietro ai violini, per poter osservare. L’orchestra era composta da musicisti che non avevano mai suonato insieme e altri con vent’anni di esperienza con grandi direttori. L’orchestra non era un prodotto finito, ma di un processo vivo e aperto. Ed è proprio questo che amo.

Lei è solista, primo violino, direttore e compositore e vive la musica da punti di vista diversi. Influiscono sul suo modo di suonare?

Non realmente. Suonare, dirigere o comporre, per me è sempre fare musica. Ogni nuovo progetto mi entusiasma e mi incuriosisce: allora mi sento come un bambino in un negozio di giocattoli!

Ha dei compositori o periodi musicali preferiti?

Diciamo che dipende dal momento. Oggi potrei darle una risposta; domani un’altra.

E dei modelli musicali?

Ammiro chi sa esplorare con curiosità e passione. Iván Fischer è uno di loro: un vero visionario!

Se potesse incontrare una personalità famosa, chi sarebbe?

Charlie Chaplin, senza dubbio. Umorismo, serietà, umanità: aveva tutto, era un genio.

Lei è conosciuto per il suo suono caldo, personale. Come lo ottiene? Tecnica, istinto o entrambi?

Tutto parte dall’immaginazione: nella mia testa immagino un certo suono e poi cerco di ottenerlo con lo strumento. Può essere un percorso che dura tutta la vita. Gli insegnanti aiutano a imparare la tecnica, ma la visione interna del suono è fondamentale. I bambini spesso sono straordinari in questo, perché la loro fantasia è libera e immediata.

Insegna ancora oggi?

Purtroppo raramente. Ho avuto cattedre a Berlino e Basilea, ma al momento il tempo è troppo poco.

È mai nervoso quando sale sul palco?

Ho capito che cosa mi mette davvero in agitazione. Non è salire sul palco, quello non mi scuote minimamente. Ma se mio figlio torna a casa dopo il primo giorno di scuola e mi racconta com’è andata, ecco, quello mi mette in agitazione, perché la cosa sfugge completamente al mio controllo. Musica, palco, concerti, invece, per me sono semplicemente una gioia. Torno a quanto detto prima, all’immagine del fanciullo felice di entrare in un negozio di giocattoli. O in una pasticceria ricolma di delizie.