Con Urbanski sul podio l'Orchestra della Svizzera italiana, assieme agli studenti del Conservatorio, inaugura la stagione al Lac tra sold out e applausi
Si può dire tutto tranne che all’Orchestra della Svizzera italiana e al suo nuovo corso post Markus Poschner – invero un essere rimasti orfani più romanzato che reale, più nelle chiacchiere da foyer che nei fatti – manchi il coraggio.
Di ‘sti tempi, quelli che definiscono la musica classica con sempre più dabbenaggine come qualcosa da incravattati e polverosi ruderi della storia, il presentarsi al proprio pubblico con un concerto dedicato fondamentalmente all'oppressione della persona e della sua libertà, al tentativo di via di fuga in una società asfissiante e con una dittatura della politica e delle arti pronta a rinchiudere se non uccidere, è cosa più che apprezzabile. Uno dei messaggi importanti – far raggiungere o sognare mondi migliori – è anche questo, ed è positivo che faccia parte del bagaglio dell'Osi. Bello che un messaggio simile sia stato espresso nella collaudata e ancora una volta riuscita collaborazione con l'Orchestra sinfonica del Conservatorio della Svizzera italiana.
Il coraggio non è mancato nemmeno nella scelta del programma. A partire dal concerto per violoncello e orchestra del compositore polacco Witold Lutoslawski, scritto nel 1970, nel pieno della cappa comunista del Patto di Varsavia. Definito appunto concerto, ne supera il significato diventando una battaglia, impari, tra il violoncello – la persona – e l'orchestra – il mondo –, che a volte in gruppo, a volte in sezioni, ingaggia combattimenti quasi a calci e pugni contro lo spirito di rivalsa e creatività di chi vive sotto al giogo. Solista di serata Sol Gabetta, storica ‘presenza’ a Lugano, che si è dimostrata completamente all'altezza anche del capolavoro di Lutoslawski. Sul podio, il direttore principale ospite dell'Osi Krzystof Urbanski come suo solito ha usato molto la manopola del volume, rendendo ancora più viva la battaglia tra il violoncello e l'orchestra. Fiati, ottoni e percussioni dell'Osi e del Conservatorio totalmente sugli scudi; Sol Gabetta tributata di scroscianti applausi come abitudine vuole.
CSI G.Corti
Sol Gabetta stellare
Se si parla di oppressione, di lotta per la creatività, la libertà e l'espressione in musica, pochi nomi tornano più di quello di Dmitrij Shostakovich. E anche la scelta di suonare la sua Quinta sinfonia è un manifesto. Scritta dopo aver rischiato grossissimo per aver osato comporre da una novella di Leskov l'opera “Lady Macbeth nel distretto di Mcensk”, accusata di formalismo e che fece infuriare Stalin – uno che di musica non capiva niente ma che con le vendette rancorose era una folgore –, Shostakovich nel 1937 – nel pieno del terrore staliniano, dove gli oppositori morivano come mosche e gli sgraditi venivano spediti senza troppi complimenti alla Lubjanka – decise di vivere. Stoppando in extremis la strutturatissima Quarta sinfonia che vide poi la luce solo nel cosiddetto disgelo di Kruscev, perché di pelle ce n’è una, si buttò a capofitto nella stesura della Quinta, durata circa tre mesi. In un'affranta via di mezzo tra il rimanere sé stesso e il rimanere vivo, Shostakovich mischia intermezzi militareggianti e bandistici, l'epopea dell'uomo alla ricerca del proprio essere in un mondo che palesemente non è più il suo e un finale eroico e allegro tratteggiando così – come ricorda giustamente Urbanski nelle note del programma di sala – la sua tragedia nella sconfitta. Il sottotitolo della sinfonia, “Risposta di un artista sovietico alle giuste critiche”, inventato da un giornalista dell'epoca, rimase incollato alle riproduzioni che girarono per tutta l'Unione Sovietica.
L'esecuzione dell'Osi è stata lineare, molto letterale ma allo stesso tempo sincera e vicina al travaglio di Shostakovich. La manopola del volume di cui sopra, Urbanski l'ha girata ancora più del solito, assieme ai tempi veloci diventati ancora più veloci e i momenti più riflessivi che erano pieni di respiro. L'orchestra lo ha seguito, con le sezioni dei violoncelli e dei contrabbassi a sostenere una precisione e un impatto sonoro non da poco. Il pubblico da sold out del Lac ha apprezzato con lunghissimi applausi e ovazioni sia per Urbanski, sia per tutta l'Osi e i giovani del Conservatorio della Svizzera italiana che hanno dimostrato di essere perfettamente al loro posto di fianco a professionisti navigati. Se negli anni cambiano gli studenti perché si diplomano e ne arrivano altri ma il risultato resta eccellente, vuol dire che il buon lavoro viene fatto all'origine.