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Una diga contro la barbarie

Pubblichiamo il testo integrale della relazione tenuta la scorsa settimana dal poeta ticinese all’Usi, sul tema della creatività in tarda età

Homo poeticus
(Keystone)
27 maggio 2025
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Si può essere creativi in tarda età? Come homo poeticus, rispondo di sì. La creatività è fatta di talento, esercizio e capacità di progettare, ma anche di qualcosa di imprevedibile che ti fa alzare di notte a scrivere una parola su un foglietto. Questo ‘qualcosa’ nessuno te lo può dare, neanche l’Università di Salamanca. Si chiama ‘ispirazione’ e affonda nel profondo, arriva fino alle radici dell’albero interiore che c’è in ciascuno di noi. Questo ‘qualcosa’ è impregnato di tutto ciò che abbiamo vissuto, immaginato, amato. Perciò dico che la creatività è possibile in tarda età: perché il longevo fa tante esperienze che lasciano una traccia dentro di lui; e questo va contro il cliché del vecchio decrepito che aspetta la morte. Ma attenzione: i poeti e gli scrittori, quelli più bravi dico, ritengono che ‘l’ispirazione’ conta poco. Per scrivere bene conta molto di più la ‘traspirazione’. La cosa misteriosa, che fa alzare il poeta di notte, è una parola che si forma dentro di lui, dopo aver attraversato gli strati della coscienza o dell’inconscio. Lui, il poeta, non se ne accorge. O meglio, se ne accorge sì, ma solo dopo aver scritto la famosa parola sul foglietto.

Ed è lì che comincia l’elaborazione letteraria. La fatica. Perché a scrivere si fa fatica, anche se quella del creatore è una fatica felice perché scelta liberamente, a differenza della fatica quotidiana che ci spinge a produrre denaro, disuguaglianze sociali e, spesso, infelicità.

Ma qual è la forza che porta il vecchio a svegliarsi di notte per prendere un appunto? È la forza di un testo speciale, il testo poetico, che a ogni lettura ci sembra nuovo, presenta una sorpresa, come fosse un giardino naturale che si autorigenera. La poesia, infatti, contiene semi di verità, fa crescere una nuova erba ogni volta che la leggiamo: anche se siamo deboli, anche se la nostra gamba zoppica e le spalle s’incurvano. La letteratura, la poesia sono una diga contro la barbarie, come ha detto lo scrittore serbo Danilo Kis. Ma, a questo punto, ritengo importante chiarire che non è assolutamente necessario scrivere, per essere creativi. È necessario leggere: perché la lettura è, anche lei, un atto creativo e crea dentro di noi una specie di seconda vita che ci arricchisce. I versi hanno la capacità di nobilitare le parole di tutti i giorni, di comunicarci il mondo in un altro modo, alternativo a quello dei mass-media. E di far nascere in noi il desiderio di un rapporto rinnovato con gli uomini e le cose.

Ora però mi rendo conto che sto parlando da poeta e che rischio di rivolgermi solo agli addetti ai lavori. Invece il poeta dovrebbe rivolgersi a tutti. E allora vorrei fare un cenno alla maggioranza della gente comune, che non si alza di notte a trascrivere una parola per elaborarla letterariamente. Vorrei rivolgermi ai miei coetanei e alle mie coetanee. I vecchi come me, che spesso rifiutano le nuove diavolerie informatiche, rischiano di essere tagliati fuori dalla società, che ha costruito il mito della giovinezza. Rischiano di affondare nella solitudine. Per salvarsi dal naufragio è necessario curare il proprio albero interiore, affondare una sonda dentro di sé. Noi vecchi abbiamo il vantaggio di non essere più vincolati a un posto di lavoro obbligato. Non siamo più travolti dalla frenesia efficientistica, abbiamo più tempo per ascoltare noi stessi e gli altri, per esercitare l’empatia, per prestare orecchio alla musica del nostro albero. Abbiamo più tempo per distinguere le cose essenziali da quelle superflue, per ritagliarci uno spazio personale. La vecchiaia ha un tempo lento e fa diventare più liberi. Se sappiamo procurarci degli interessi e nutrire la curiosità, possiamo salvarci dall’esclusione alla quale la società tecnologica vorrebbe condannarci.

Prima ho parlato di creatività. Di letteratura. Che, tra parentesi, non è fatta per passare il tempo e distrarsi, ma per fermare il tempo e concentrarsi. È fatta per alimentare la “forza di immaginazione” dell’uomo, sopraffatta nel nostro tempo dalla “forza di produzione”. Ma, per il vero, non si crea solo con la parola. Si può creare anche con le forme, con la musica, o semplicemente giocando con il nipotino. E anche, benissimo, con il seme che dà vita a una pianta. Più alberi e fiori, più vita e bellezza.

Mi chiedo talvolta perché la poesia in versi, per me, è nata nell’adolescenza, mi ha accompagnato nell’età adulta e torna a visitarmi in tarda età. Forse perché la vecchiaia è una specie di altra adolescenza. Forse perché la poesia è una forma di vitalità che resiste al passare degli anni. Perché la poesia, come il sorriso, aggiunge un filo alla tela brevissima della nostra vita, come dice Leopardi. E rinfresca, nel nostro mondo inaridito. Ecco dunque la mia formula per la longevità: la parola poetica. Quando leggo dei versi mi sorprendo, come quando vedo l’azzurro della cicoria selvatica ai margini della strada asfaltata.

Ma, per tornare alla prosa, bisogna dire che la vecchiaia purtroppo porta spesso con sé la malattia. Vi racconto in breve la mia esperienza di paziente: qualche anno fa sono stato aggredito due volte dal cancro. Eppure, paradossalmente, per me il cancro è stato fonte di creatività. Mi è andata bene. Mentre mi sottoponevo alla radioterapia e alle altre cure del caso, la mente e lo spirito erano sollecitati a fantasticare, a creare immagini. Non so perché. Forse mi rendevo conto che mi stava succedendo qualcosa di strano: un’esperienza nuova, anche se negativa. La poesia può nascere su qualsiasi terreno, anche dalla consapevolezza del male. Lo psicanalista Boris Cyrulnik dice che la malattia può essere un’oscura luce, se dopo un forte dolore sappiamo esercitare la resilienza. Con questo, naturalmente, non voglio augurare a nessuno di ammalarsi. Voglio solo dire che la poesia può trasformare la malattia in opportunità. Può essere la vitamina che rinforza le difese immunitarie dell’organismo e crea gli anticorpi contro la disumanizzazione. Poesia, dunque, in funzione apotropaica.

Vi leggo i versi che concludono la serie di testi poetici scritti in quell’ occasione:

Perso dentro il turbinoso agitarsi del glicine

perdo anche il risentimento verso la vita perduta

nel rovello delle domande mentre semplicemente

tu innaffi gli ortaggi nel primo mattino sotto il carpino

dove talvolta sfrasca il picchio rosso

e un filo invisibile

tra te e me si tende lungo l’arco

coniugale, che vince ogni oltraggio.

Qualche anno dopo sono stato di nuovo ospedalizzato. E anche in questa occasione ho scritto, la musa è tornata a farmi visita. Ecco una poesia scritta in quei giorni d’inverno del 2022:

Fusaggine, fuggiamo insieme dal buio.

Da soli, senza uomini e cani

andiamo nel regno dove tace l’odio

e la sofferenza cambia segno,

s’invola come il martin pescatore

che ho visto una sola volta da ragazzo

un pomeriggio di vagabondaggio

lungo la Breggia.

Tu, fusaggine, conosci

la voce del vento e parli sottovoce

non gridi mai.

Lo scorso mese di febbraio sono stato, ancora, in ospedale una decina di giorni per una polmonite. In questa circostanza mi è capitato di scrivere delle note di diario, come queste:

Venerdì, 7 febbraio

Mi risveglio. Stamattina l’alba posa un delicato petalo di calicanto sulle tapparelle. A poco a poco il petalo prende luce e diventa mela rosata.

I più poveri, quelli che non sanno sorridere.

8 febbraio

Escono lentissimi dalle camere i malati, coi deambulatori. Si avviano lentissimi per i corridoi pulitissimi, mentre dai vetri vedo un pennacchio di fumo bianco uscire dal tetto di una casa formando strane figure per aria. “Piove” dice l’infermiera alla vecchia, che non capisce. Piove.

10 febbraio

La medicina migliore, il silenzio.

E per finire vi leggo una poesia scritta qualche giorno fa:

Mentre invecchio

Mentre invecchio

si schiudono le peonie

il glicine mette le gemme

la mia gamba traballa

l’erba diventa verde

l’acqua è più fresca

le radici del carpino s’allungano

come la mia memoria.

Mentre invecchio

un’altra foglia cade

la lucertola ride

e io perdo il bastone.