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Quando non basta evitare le ore più calde

Il climatologo Faranda: il cambiamento climatico altera ecosistemi, provoca eventi anomali e amplifica le disuguaglianze sociali

Il ghiacciaio del Rodano (quel che resta)
(keystone)
5 luglio 2025
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Quando fa caldo, meglio evitare di uscire nelle ore più calde – magari facendosi portare il pranzo a casa o al lavoro da chi questa possibilità non l’ha –, poi bere tanti liquidi e le solite raccomandazioni alle quali siamo sempre più abituati. «Il cambiamento climatico viene ancora percepito da molti come qualcosa di astratto, o al massimo come un disagio momentaneo da “gestire” con strategie individuali» ci ha spiegato Davide Faranda, direttore di ricerca in Scienze del clima presso il Laboratoire des Sciences du Climat et de l’Environnement dell’Università di Parigi-Saclay. «Questa rappresentazione è non solo fuorviante ma anche pericolosa, perché impedisce di comprendere la reale portata del fenomeno».

Un fenomeno che non si limita “a qualche grado in più”, perché l’aumento delle temperature medie è parte di un processo molto più complesso che «altera l’equilibrio dei sistemi atmosferici e oceanici, modificando i regimi delle precipitazioni, le correnti, la stagionalità, la frequenza e l’intensità degli eventi estremi». Parliamo di incendi più estesi, alluvioni improvvise, siccità prolungate, ondate di calore urbane con effetti sulla mortalità e la salute pubblica.

Il rischio climatico, ha proseguito Faranda, non è solo la probabilità che accada qualcosa di grave, «ma la combinazione di tre elementi: pericolosità (cioè quanto un certo evento estremo è intenso), esposizione (quanti beni o persone si trovano nella zona colpita), e vulnerabilità (quanto sono in grado di resistere e reagire)».

Ghiaccio, acqua, frane

Uno dei segni più evidenti lo vediamo nei ghiacciai alpini che si riducono di anno in anno. Il mese di giugno è stato eccezionalmente caldo anche in alta montagna, tanto che il 29 giugno 2025 è stato raggiunto il cosiddetto “Glacier Loss Day”, il momento in cui i ghiacciai esauriscono le riserve di neve e ghiaccio accumulate durante l’inverno precedente. È, seppur di poco, la seconda data più precoce mai registrata, dopo il record negativo del 26 giugno 2022.

Questo significa che fino alle prossime nevicate invernali i ghiacciai sopravviveranno “a debito”, con la fusione di ghiacci accumulati nei secoli precedenti. Normalmente, il Glacier Loss Day cade in agosto o addirittura a settembre, senza dimenticare che per un ghiacciaio stabile, o addirittura in crescita, questo giorno non arriva mai.

Ma, e torniamo alle impressioni falsate, non è una questione di un panorama che cambia: il problema riguarda il ciclo globale dell’acqua con eventi meteorologici estremi più frequenti e severi, con le acque più calde che creano le condizioni per tempeste più forti che colpiscono terreni più fragili e che necessitano di interventi di protezione. Nelle regioni alpine, infatti, l’aumento delle temperature sta compromettendo la stabilità del permafrost, il terreno perennemente gelato che agisce come cemento naturale per i versanti montani. Come ci ha mostrato, nella sua tragica spettacolarità, la recente frana di Blatten in Vallese. «Spesso il cambiamento climatico viene raccontato come una minaccia distante nel tempo o nello spazio. In realtà, gli effetti sono già qui, li abbiamo davanti agli occhi» ha spiegato Faranda.

Stress per piante e animali

Gli esseri umani non sono gli unici animali a soffrire il caldo eccessivo: ogni essere vivente ha un limite di temperatura oltre il quale subisce uno stress che, se prolungato, può minacciarne la sopravvivenza. È un problema che non riguarda solo le specie animali: le piante, anche per il fatto di non potersi spostare più a nord o più in quota, sono particolarmente vulnerabili, con intere foreste che si ritrovano in climi non adatti.

Inoltre in molte piante, incluse le principali colture alimentari, la fotosintesi perde efficienza a temperature elevate. È uno dei motivi per cui a ogni grado di aumento delle temperature cala la produttività di molte colture come mais, grano e riso, rendendo necessario il ricorso a varietà che meglio resistano a un clima più caldo e arido (proteggendo al contempo i campi dagli eventi estremi).

Non che manchino le conseguenze dirette sulla salute umana: si stima che la termoregolazione diventa inefficace già intorno a 30°C della cosiddetta “temperatura di bulbo umido” (una misura che, combinando temperatura e umidità indica il limite oltre il quale il sudore non riesce più a raffreddare il corpo umano). Si parla, solo per l’Europa, di oltre 176mila morti riconducibili alle ondate di calore ogni anno. Una emergenza che, per tornare alle raccomandazioni iniziali, non riguarda solo “le ore più calde” ma anche quelle più fresche: le notti tropicali, con temperatura superiori ai 20°C, sono sempre più frequenti – lo scorso giugno ce ne sono state ben undici a Lugano e una anche sul Lago di Zurigo – rallentano il recupero dallo stress termico con conseguenze sul sistema cardiovascolare. «Emerge il carattere sistemico del cambiamento climatico che non colpisce tutti allo stesso modo, ma amplifica le disuguaglianze preesistenti: le persone anziane nelle città, gli agricoltori in zone marginali, le famiglie che vivono in case non isolate o nei pressi di corsi d’acqua sono tutte categorie più esposte» ha aggiunto Faranda.

Adattarsi, come accennato, significa «costruire argini e bacini di laminazione per contenere le piene, ma anche riorganizzare le città per creare zone d’ombra, ventilazione naturale, verde urbano che abbassa le temperature». Tutto questo ha chiaramente un costo, anche se sarebbe più corretto parlare di investimento «perché non adattarsi costerà molto di più, sia in termini economici che umani».