laR+ Il ricordo

Era Gene Hackman, ‘uno che ci ha provato’

Il cattivo per antonomasia e la triste morte nella casa di Santa Fe, che pare uno dei suoi thriller. Ha vinto due Oscar, ne meritava un terzo

Nel 2001, ne ‘I Tenenbaum’ di Wes Anderson
(Keystone)
28 febbraio 2025
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“E il bastardo a chi lo facciamo fare?”, dice il regista. “A Gene, ovvio”, risponde il direttore del casting. Non è che sia sempre andata così, anzi è pura fantasia, però chi meglio di Gene Hackman poteva interpretare il perfetto angry young man, il bad guy, il gangster, l’ex galeotto, il politico corrotto, il poliziotto senza scrupoli, l’avvocato manipolatore, il cattivo per antonomasia capace di trasformarsi da cinico in svampito in capolavori della comicità, nelle commedie di cassetta, nelle saghe dei supereroi e in un cinema a suo modo d’avanguardia. Ironia della sorte, Hackman – 95 anni, due Oscar su cinque nomination, quattro Golden Globe, due Bafta e un Orso d’Argento – è morto come in uno dei tanti thriller interpretati.

La polizia, allertata da un vicino, lo ha ritrovato senza vita lo scorso 26 febbraio nella sua casa di Santa Fe, nel New Mexico, insieme alla moglie musicista Betsy Arakawa e a uno dei suoi cani. La soluzione del caso è parsa breve fino a quando la tesi dell’avvelenamento da monossido di carbonio ha perso di intensità. Restano i cadaveri in stato di decomposizione, alcune pastiglie sul pavimento nel bagno, l’animale morto chiuso in un armadio e gli altri due cani a far da guardia ai corpi. Nessun trauma, nessun biglietto d’addio: la morte resta sospetta e la società del gas partecipa alle indagini. Anni fa, nello show del fu Larry King, in un’intervista ora rilanciata dalla rete Hackman aveva confidato che insieme alla “normale” paura di morire si preoccupava soprattutto che la moglie e la famiglia fossero al sicuro.

Da Jimmy ‘Popeye’ Doyle a Monroe ‘Aquila’ Cole

Eugene Allen Hackman era nato a San Bernardino il 30 gennaio 1930. Figlio di divorziati, segnato dall’abbandono del padre, era entrato nei Marines a 16 anni; a 20 aveva frequentato i corsi di giornalismo dell’Università dell’Illinois e a 22 aveva deciso di diventare attore, trasferendosi (così si fa) in California. L’esordio nel musical, poi il primo ruolo importante in ‘Lilith – La dea dell’amore’ (1964) con Warren Beatty protagonista; quello più importante ancora in ‘Hawaii’ (1966) e la prima candidatura all’Oscar per il ruolo da co-protagonista in ‘Gangster Story’ (1967). Per ‘Anello di sangue’ (1970) una nuova candidatura; nei panni del poliziotto senza scrupoli Jimmy ‘Popeye’ Doyle, ne ‘Il braccio violento della legge’ (The French Connection), l’Oscar come migliore attore protagonista.

Nei Settanta di Hackman ci sono il cameo in ‘Frankenstein Junior’ (è Harold, l’eremita cieco che versa minestra bollente sulla creatura), il film di guerra ‘Quell’ultimo ponte’ e i primi due ‘Superman’ con Christopher Reeve, nei quali è Lex Luthor (tornerà nel quarto episodio). I Settanta sono anche un decennio di rifiuti: la parte di Randle McMurphy in ‘Qualcuno volò sul nido del cuculo’, data a Jack Nicholson, quella di Ron Neary in ‘Incontri ravvicinati del terzo tipo’, data a Richard Dreyfuss.

Negli Ottanta rifiuta di essere lo sceriffo Teasle in ‘Rambo’, che avrà il faccione di Brian Dennehy, ma è nel pluricandidato agli Oscar ‘Reds’ di Beatty. È soprattutto Orso d’Argento al miglior attore nel bellissimo ‘Mississippi Burning’ (1988). L’angioplastica apre i suoi Novanta insieme al rifiuto di dirigere e interpretare ‘Il silenzio degli innocenti’. Il 1992 è l’anno del secondo Oscar, quello da non protagonista per il western ‘Gli spietati’ di Clint Eastwood, che lo dirigerà anche nel thriller politico ‘Potere assoluto’, dove Hackman è un Presidente degli Stati Uniti fedifrago che cerca d’insabbiare l’omicidio dell’amante.


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Anno 1972, l’Oscar per ‘The French Connection’, da sx: Philip D’Antoni, Hackman, Jane Fonda e William Friedkin

L’attaccabrighe

Nel 2000, quattro anni prima di annunciare il ritiro dal cinema, l’attore s’imbarca nel noir ‘Under Suspicion’ di Stephen Hopkins, nel quale è un avvocato sospettato di nefandezze a sfondo sessuale che viene torchiato da un capo di polizia (Morgan Freeman). Il film segna l’esordio hollywoodiano di Monica Bellucci, qui tutta broncetti e suadenze in un’interpretazione magari non invisibile ma impalpabile sì. Forse è una leggenda metropolitana o forse no quella che vorrebbe Hackman contrario alla presenza dell’attrice italiana, in un “o lei, o io” poi risoltosi con attestati di stima reciproci. L’anno dopo, Hackman è in ‘Heartbreakers – Vizio di famiglia’, commedia degli equivoci nella quale recita la parte del milionario da spennare, e poco dopo ne ‘I Tenenbaum’ di Wes Anderson, in cui è l’immaturo padre di famiglia di culto in un film di culto che gli varrà un Golden Globe per la recitazione (di culto). Nel 2004, infine, è l’ex presidente americano (di fantasia) Monroe ‘Aquila’ Cole che si candida come sindaco nel suo luogo di vacanza e deve fare i conti con il rivale idraulico.

Nel 2011, il giornalista Michael Hainey chiede a Hackman un ritorno alla maniera di James Cagney, un cattivo dello schermo che nel 1961, dopo avere indossato i panni di gangster, psicopatici e generici brutti ceffi, annunciò il ritiro per tornare vent’anni dopo in ‘Ragtime’ di Miloš Forman, e lasciare il cinema e la vita quattro anni più tardi. Paragone non casuale quello dell’intervistatore, poggiato su un piatto d’argento, perché Hackman era un devoto di Cagney: “Nella maggior parte dei film, lui era il cattivo – commenta l’attore – e comunque c’era qualcosa di così amabile e creativo in lui”. Il Cagney attaccabrighe aveva in Hackman il più realistico dei corrispettivi: “L’ultima volta che ho tirato un pugno a qualcuno? Non so, forse dieci anni fa. È stata una di quelle cose che accadono nel traffico”.


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Nel 1978 con Christopher Reeve, aka Superman

Cimici, paranoia e jazz

Per l’egoistica rubrica ‘I film che ci hanno cambiato la vita’, tra i molti Gene Hackman disponibili (bonaccioni, disperati, furbi, immorali) scegliamo l’asociale Harry Caul de ‘La conversazione’ (1974). Investigatore privato specializzato in intercettazioni, maniaco della privacy, l’uomo vive a San Francisco in un appartamento con un tavolo, un letto e un telefono che non usa, perché per questioni di sicurezza si serve solo delle cabine telefoniche. Caul deve pedinare una donna e il relativo amante: quando il microfono unidirezionale coglie la frase “ci ammazzerà se gliene diamo l’occasione”, egli rimane coinvolto nella storia come non dovrebbe. Rannicchiato tra il muro del bagno e il water, nella camera di un hotel attigua a quella in cui è solita riparare la coppia, l’investigatore è dilaniato dal rimorso per il dover portare a termine l’incarico, consegnando i due innamorati alla (ipotetica) vendetta di un marito tradito.

Le poche parole pronunciate da Hackman lungo il film, il rumore dei nastri magnetici che si strusciano sulle testine dei registratori nello studio di Caul, allestito in un capannone, le macchine futuristiche che oggi sono antiquariato e al tempo erano le medesime utilizzate per intercettare Nixon (particolare che fece da volano per il film) sono la cifra stilistica di un capolavoro di oltre due ore candidato a tre miseri Oscar, tra i quali nemmeno quello per il miglior attore protagonista. Inserito nella cinquina, neppure il sonoro ebbe fortuna, battuto quell’anno dai suoni del più catastrofico ‘Terremoto’. L’immenso Hackman che nella scena finale imbraccia un sax e fa della paranoia un momento jazzistico, così ricorderà il film: “Francis Ford Coppola voleva Marlon, ma non è poi così male essere secondi a Brando”. “Ispiratore e magnifico” dice di lui oggi il regista. Dei grandi nomi di quel film non certo corale che è ‘La conversazione’ (Frederick Forrest e Cindy Williams, i due amanti, John Cazale e Robert Duvall), resta il solo Harrison Ford, che nel 1974 era agli esordi sul grande schermo.

‘Come vorrebbe essere ricordato?’

“La perdita di un grande artista – dice ancora Coppola – è sempre motivo di lutto e di celebrazione: Gene Hackman era un grande attore, stimolante nel suo lavoro e nella sua complessità”. Il regista piange la sua perdita e celebra “la sua esistenza e il suo contributo”, e noi chiudiamo tornando all’intervista del 2011, che è in fondo una delle poche concesse negli ultimi anni dall’attore, già immerso nel suo nuovo presente di scrittore, pittore e scultore: “Come vorrebbe essere ricordato?”, gli chiede GQ; “Come un attore decente”, risponde Hackman, “come qualcuno che ha cercato di ritrarre in modo onesto quel che gli è stato chiesto di ritrarre”. Più sinteticamente: “Come qualcuno che ci ha provato”.


Keystone
Eugene Allen Hackman (San Bernardino, 30 gennaio 1930 – Santa Fe, 26 febbraio 2025)