Intervista ai due registi francesi che hanno guidato i sei registi emergenti nella Spring Academy organizzata da Locarno Film Festival e Cisa
Cineprese, luci, microfoni, alcuni oggetti di scena e anche un rapace in arrivo dalla vicina falconeria di Locarno. E ovviamente loro, i registi francesi Caroline Poggi e Jonathan Vinel che nei giorni scorsi hanno guidato i giovani cineasti selezionati per l’edizione 2025 della Spring Academy organizzata dal Locarno Film Festival e dal Cisa in coproduzione con la Rsi e con la collaborazione della Ticino Film Commission. Per una settimana alla Palestra Vacchini di Losone Poggi e Vinel hanno guidato le riprese dei cortometraggi che saranno poi presentati alla prossima edizione del festival.
Il punto di partenza dei cortometraggi è una frase volutamente aperta: “Demain, il y aura quelque chose de nouveau”. L’idea non è infatti imporre la propria visione ma, come ha spiegato Poggi, «accompagnarli al meglio in modo che possano realizzare un film che corrisponda alla loro responsabilità». Del resto «non sono studenti, sono tutti cineasti che hanno già realizzato dei cortometraggi: abbiamo dato e continuiamo a dare feedback sulle sceneggiature, li seguiamo nel casting, diamo consigli, soprattutto cerchiamo di identificare i punti deboli e di aiutarli quando si trovano in difficoltà». Lo scambio, in questa attività di mentoring, non è a senso unico: «Arrivano con le loro idee, con il loro universo: a me è capitato, seguendo un casting, di vedere persone con modi di lavorare molto diversi dai nostri. Anche noi impariamo cose nuove, è davvero uno scambio».
Poggi e Vinel sono del resto abituati a condividere il processo creativo, lavorando insieme da 14 anni. «Fare cinema insieme non è qualcosa di necessariamente innato, è anzi qualcosa che si impara con il tempo», ha spiegato Poggi. «Quando rivediamo i lavori che abbiamo realizzato da soli, ci rendiamo conto che in realtà il nostro primo film realizzato insieme era davvero la somma di ciò che eravamo prima, come se ognuno dei due avesse messo qualcosa di suo perché, in un qualche modo, siamo complementari».
Lavorare in coppia, ha aggiunto Vinel, significa anche rompere con «l’idea romantica dell’autore come una persona solitaria che si strugge da solo nella sua stanza: è un concetto che molte persone hanno della creatività in generale e credo che rompendo questa personificazione si parli di più delle idee». E poi «diventa un processo dinamico, non resti mai bloccato perché c’è sempre un ping-pong dove l’idea rimbalza dall’uno all’altra».
La Spring Academy è, per ovvi motivi, incentrata sui cortometraggi, formato che Caroline Poggi e Jonathan Vinel conoscono bene: nel 2014 hanno vinto l’Orso d’oro con ‘Tant qu’il nous reste des fusils à pompe’ e, proprio nei giorni precedenti il loro arrivo a Locarno, il loro ‘How Are You?’ è stato nuovamente premiato a Berlino. Ma hanno all’attivo anche due lungometraggi: ‘Jessica Forever’, selezionato al TIFF e alla Berlinale, e ‘Eat the Night’, presentato alla Quinzaine des Cinéastes di Cannes. Quali sono le differenze artistiche tra i due formati? «Una prima differenza è che puoi fare un cortometraggio con quasi niente, se ci si arrangia bene e se si prende una squadra molto ridotta; volendo si può anche filmare da soli» ha risposto Vinel. «Per un lungometraggio, o almeno per il tipo di lungometraggi che possiamo fare noi, è più difficile: c’è sempre qualcosa nella scrittura che fa sì che abbiamo bisogno di una squadra abbastanza grande». E i vincoli finanziari «fanno sì che possiamo più facilmente perderci, anche noi, nel permetterci di desiderare». È anche una questione di determinazione, come ha aggiunto Poggi: «Il progetto di un lungometraggio prende molto più tempo: per noi sono circa quattro anni tra l’inizio dell’idea e l’uscita del film: bisogna davvero mantenere il desiderio». Un cortometraggio è più veloce da realizzare, il che significa anche una maggiore sintonia con il presente: «Con un lungometraggio, ho l’impressione che il mondo cambi molto velocemente. Mentre un cortometraggio, se riesci a farlo in un anno, sei molto più nell’attualità. Il cinema è il mio modo di esprimermi: se facessi solo lungometraggi, parlerei ogni 4-5 anni».
I due formati diventano quindi complementari. «Ci piace mantenere la magia di entrambi, avere progetti che sappiamo dovranno durare a lungo e cortometraggi che permettono di tirar fuori idee rapidamente quando vogliamo provare cose senza sapere benissimo dove stiamo andando».
La Spring Academy si è aperta con la proiezione pubblica di ‘Eat the Night’, un film costruito su più livelli mettendo a confronto temi classici del cinema – scontri tra bande di spacciatori, famiglie disfunzionali – con il mondo virtuale di un gioco online, Darknoon, che sta per chiudere lasciando la giovane Apolline e suo fratello Pablo senza un rifugio nel quale riuscivano, a loro modo, a essere sé stessi. «È il primo film che facciamo che si svolge nel mondo reale: credo che tutti i nostri lavori precedenti si muovessero in una specie di zona un po’ sfocata, distopica e virtuale» ha spiegato Vinel. «È stato anche un modo per noi di parlare del mondo del cinema: ci sono un sacco di riferimenti nel film che sono abbastanza chiari, passando per le cronache familiari, i film di gangster, i thriller, i film d’azione eccetera. L’originalità, l’invenzione di questo film non è in quello che mostra, ma è nel suo modo di mettere insieme le cose». Inclusi realtà e videogioco? «Nei nostri film – ha risposto Poggi –, abbiamo sempre parlato di videogiochi. Abbiamo sempre parlato di queste immagini. Siamo cresciuti con esse, con Internet, con i videogiochi: sono immagini che sono il nostro linguaggio. C’è sempre questa gerarchia dell’immagine per cui il cinema è l’arte, e il videogioco è solo un gioco: noi cerchiamo di non costruire gerarchie tra le immagini, ma fare sì che le immagini semplicemente parlino di noi, della nostra generazione e del mondo che ci attraversa».
Il virtuale di Darknoon, con il conto alla rovescia che segna la fine di un mondo, e la realtà di spaccio e di vendette incrociate non sono in contrapposizione. «Non volevamo che ci fosse una frontiera, piuttosto che si creasse un cammino, e una contaminazione, tra i due. Il nostro intento era mescolare le estetiche e le forme perché ciascuna disegnasse la tragedia generale».
E poi c’è il cortometraggio presentato, e premiato, alla Berlinale, ‘How Are You?’ è un film d’animazione con alcune riprese dal vivo, ma nel parlarcene Vinel ha subito precisato che «la forma è abbastanza strana». È infatti un film duro e probabilmente il più «direttamente politico» realizzato finora dai due registi. «Parla davvero dei nostri ultimi anni, di tutti gli shock che abbiamo vissuto: il Covid, le rivolte sociali in Francia e la repressione della polizia, ma anche la situazione in Palestina con il genocidio a Gaza». I protagonisti sono «personaggi talmente traumatizzati dalla violenza del mondo che non sanno più come fare per non diventare a loro volta mostri».
Eppure il film, pur restando «molto duro», «gioca sui codici della commedia con questi animali abbastanza carini e devo dire che nello scrivere le battute ci abbiamo preso gusto» ha riconosciuto Vinel. Ma, ha aggiunto Poggi, di questa dimensione «ci siamo realmente resi conto vedendo il film a Berlino, con la sala che rideva, poi all’improvviso si calmava, e poi all’improvviso rideva di nuovo. Lì mi sono resa contro di aver fatto la mia prima commedia».