Il Leone d'Argento alla sublime Ursina Lardi, protagonista dello spettacolo più denso e necessario della rassegna
La Biennale Teatro 2025 si è confermata, dopo 53 anni, come l’appuntamento necessario per comprendere lo stato del teatro mondiale, portando alla ribalta spettacoli di grande intensità e novità drammaturgiche capaci di essere faro in un mondo teatrale, che vive del contatto diretto con il pubblico e che mai come oggi si trova a confrontarsi con un’idea digitale dell’essere e del divertirsi. Ed è l’originalità che sempre continua a spingere il teatro verso un futuro in cui essere ancora protagonista. “Radicalità ed empatia”, sono le parole con cui Willem Dafoe, direttore della manifestazione, definisce la carriera di un’attrice sublime come Ursina Lardi, consegnandole sabato scorso il Leone d’Argento. E queste parole sono il senso del teatro oggi, non a caso l’attrice svizzera è stata esemplare protagonista di ‘The Seer’ (La veggente) del regista e drammaturgo Milo Rau, sicuramente lo spettacolo più denso e necessario della rassegna vista nello straordinario ambiente dell’Arsenale di Venezia.
Nella motivazione del premio si legge: “Nella collaborazione con il regista Milo Rau, Ursina Lardi ha saputo rendere collettivo il proprio racconto individuale, assumendo su di sé, con dignità e lucidità, le contraddizioni dell’Occidente borghese e capitalista, quasi che l’attrice sia, ancora e sempre, incarnazione del proprio tempo”. E lei è una donna di oggi, una fotografa di guerra, una che dà significato alle immagini che crea, immagini che raccontano l’orrore della morte e dello spreco della carne e del sangue umano. Non serve vederle: Ursina Lardi le fa rivivere nella sua recita serrata che mai perde l’infinita grazia e la dolorosa consapevolezza di connotare di grande umanità ogni singola battuta. E quando, da spettatrice, si trova a raccontare il proprio dolore, la propria paura, il suo essere donna violata, impaurita dalla crudeltà dei maschi, più che della morte raccoglie in sé il doloroso grido di tutte le donne stuprate in millenni di guerre e di vita accanto all’insensibile desiderio maschile. E mentre il suo racconto si sviluppa sullo schermo, con lei dialoga un uomo diverso, Azad Hassan, cui lo Stato Islamico, in Iraq nel 2015, ha tagliato una mano fra il tripudio di gente che, irridendolo, cantava a Dio. Lei attrice, lui sé stesso. Sono questi due esseri umani feriti che si incontrano e si consolano, ed è la pietas, cara agli antichi, che riaffiora necessaria nei giorni di oggi, e Gaza è all’orizzonte.
Grande, immenso spettacolo è l’umanità in cammino in cerca di pacificazione dopo indicibili dolori, è Milo Rau che ricorda, ama i classici, il Sofocle di Filottete e le sue parole: “Perché insonne è il sonno degl’infermi, tutto ascolta e tutto vede”. Nulla è cambiato.