laR+ Venezia 82

Quello che la Giuria del Lido non ha detto

La Giuria di Alexander Payne, dal pacato conformismo, attenta a non prestare il fianco a troppe critiche. Ben più coraggiosa quella di ‘Orizzonti’

Alexander Payne
(Keystone)
7 settembre 2025
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Alla fine, dei 21 film presentati in Concorso resteranno solo i premiati e il dato dei premi ricevuti, il peso del lavoro di una Giuria, quella di questo Venezia 82, presieduta da Alexander Payne (uno che ha vinto 2 Oscar per la sceneggiatura), una giuria che ha svolto il suo lavoro con pacato conformismo, per non prestare il fianco a troppe critiche, ma con scarso coraggio.

Dato il prevedibile Leone D’oro per il miglior film all’inattaccabile ‘Father Mother Sister Brother’ di un buon Jim Jarmusch, e riservando il Leone D’argento – Gran Premio della Giuria al commovente, ma non perfetto ‘The voice of Hind Rajab’ della tunisina Kaouther Ben Hania, dedicato al dramma di Gaza, e dato per favorito da molti per mandare un chiaro e necessario messaggio politico contro l’ecatombe israeliana, la giuria si è permessa di dare il premio della regia a Benny Safdie. Questi è autore di ‘The Smashing Machine’, un’opera prima poco interessante, per la quale vogliamo autocitarci: “Il regista si accontenta di raccontare con sicurezza, ma con poca emozione, e tutto risulta prevedibile e già visto”. Ci sfugge il senso di questa scelta quando per la regia c’erano veramente diverse possibilità: una fra tutte, l’esplosiva regia di Guillermo Del Toro per il suo ‘Frankenstein’, un film che celebra la fantasia autoriale, ma non era questa una giuria da cinema vivo, bensì da storie raccontate. E se condivisibile è la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile a Xin Zhilei nel film cinese ‘Ri Gua Zhong Tian’ (The Sun Rises On Us All) di Cai Shangjun, che canta l’amore estremo e in cui lei è il motore della vicenda, non c’è giustificazione per la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile allo spento Toni Servillo che si trascina nel vuoto de ‘La Grazia’ di Paolo Sorrentino. Ma come si possono dimenticare attori veri come Lee Byung-hun, che domina nel bel ‘Eojjeol suga eopda’ (No other choice) di Park Chan-wook, oppure Oscar Isaac che illumina il ‘Frankenstein’ di Del Toro?

Si deve accontentare del Premio per la Migliore Sceneggiatura Valérie Donzelli, che con Gilles Marchand ha scritto per il suo ‘À Pied D’œuvre’, film che ha veramente illuminato questa edizione, l'opera più fresca e viva, un canto al cinema zittito con un premio minore perché parla di giovani, dei sogni, che se mancano, mancano futuro e libertà. Stretta nel suo conformismo, la Giuria non poteva dare il Leone a chi irride quel burocratico esser conforme. E la stessa Giuria regala infine un Premio Speciale al bianco e nero di ‘Sotto le nuvole’, un non documentario inutile di Gianfranco Rosi, per tentare poi di salvarsi l’anima con il Premio Marcello Mastroianni a Luna Wedler, protagonista del film più discusso di Venezia, il ‘Silent Friend’ di Ildikó Enyedi che rende omaggio a quel mondo vegetale che ci accompagna nel cammino su questo Pianeta.

Più coraggiosa, e non c’erano dubbi, la Giuria di Orizzonti presieduta da Julia Ducournau (già Palma d'oro al Festival di Cannes, 2021), una che mastica cinema provocante e orgoglioso, e che per il Miglior film ha scelto il narrativo forte ed estremo ‘En El Camino’ (On The Road) del messicano David Pablos, e per la regia Anuparna Roy, autore di uno dei film che hanno emozionato il Lido e per cui è valsa la pena essere a Venezia, l’indiano ‘Songs Of Forgotten Trees’. Una Giuria che ha riservato un Premio Speciale a ‘Harà Watan’ (Lost Land) di Akio Fujimoto, un film che ci riporta in un campo profughi Rohingya in Bangladesh per farci intraprendere un pericoloso viaggio verso la Malesia, in cui noi piangiamo sulla nostra umana miopia. Questo è cinema che canta e una Giuria che lo esalta. Cosa di cui è stata incapace l’ingessata Giuria di Payne.

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