In sala ‘Architettura della felicità’ di Michele Cirigliano e Anton von Bredow, documentario sulla chiusura del casinò di Campione
“Tutto sommato, la felicità è una piccola cosa”: così si chiude una delle poesie più conosciute di Trilussa – quella con “un’ape che se posa / su un bottone de rosa” – e quei versi tornano in mente, per contrasto, quando sullo schermo vediamo le immagini dell’immenso edificio del casinò di Campione d’Italia.
Il documentario ‘Architektur des Glück’ di Michele Cirigliano e Anton von Bredow non racconta infatti la storia di quell’edificio, la sua imponente (per molti eccessiva) presenza sul Lago di Lugano; non racconta neppure i motivi della crisi e chiusura del casinò. Il film ci mostra le conseguenze di quella chiusura, ma lo fa con l’ambizione di raccontare una storia più grande che non riguarda solo Campione.
Il progetto era iniziato nel 2019, poco dopo la chiusura del casinò, e le riprese sono proseguite fino alla parziale riapertura nel 2022. Poi c’è stato il lungo lavoro di montaggio: «Avevamo una sessantina di ore di girato con interviste a una trentina di persone» ci ha spiegato Michele Cirigliano. «Il montaggio nel documentario è una cosa difficilissima, perché non parti da una sceneggiatura bella e pronta: è un processo molto complesso che ti costringe a fare scelte difficili». Arrivare nelle sale adesso, nel 2025, se da una parte è una necessità legata alla postproduzione, dall’altra è un’opportunità per guardare agli eventi andando oltre il ristretto orizzonte dell’attualità. Oggi che «non tutto è sistemato ma il peggio è passato», possiamo ragionare sui rischi di una “monocoltura” sociale ed economica, considerare Campione e il suo casinò come un osservatorio ideale per capire i rischi del “puntare tutto” su un’unica risorsa. Gli esempi non mancano: l’Ilva di Taranto, l’industria automobilistica in Germania, la Finlandia con Nokia o, più recentemente, la casa farmaceutica Novo Nordisk in Danimarca; e all’elenco potremmo anche aggiungere il settore bancario in Ticino. «Campione è interessante perché è piccola, è una specie di laboratorio dove poter capire alcune cose che altrimenti sarebbero nascoste… e quando siamo arrivati, la gente aveva veramente bisogno di parlare, di aprirsi».
Il titolo, ‘Architettura della felicità’, non si riferisce tanto al mastodontico edificio del casinò. «Quello che si è tentato di fare a Campione è stato proprio progettare la propria felicità: in modo più o meno cosciente si è cercato di architettare la vita tutta intorno a questo casinò» ha spiegato Cirigliano. Un sistema apparentemente solido. E totale. «Nel film viene raccontato che tu da giovane campionese non avevi quasi altra chance che lavorare al casinò: dopo la scuola automaticamente andavi a finire lì, credendo che sarebbe stato così per sempre».
Una immutabilità che si è tradotta in immobilità, quando il casinò è stato chiuso. «È una cosa che ci ha stupito: quando siamo andati a Campione abbiamo trovato una situazione di completo stallo, non si muoveva niente» ha ricordato Cirigliano. Una immobilità che i due registi hanno voluto riprendere in un film. «Abbiamo un sacco di immagini con la telecamera fissa. Quasi tutti i personaggi che abbiamo intervistato stanno seduti, aspettano». Più in generale, «abbiamo voluto realizzare un film soave, fine, più poetico, con immagini fisse che sono un po’ come dei quadri».
Limitato invece il ricorso a materiali d’archivio. «Sarebbe stato facile metterli, perché lo spettatore un po’ se l’aspetta. In questi film-documentari ci deve essere il telegiornale che annuncia la chiusura. Però non ci sembrava necessario. Non volevamo più clamore di quanto già ce n’era stato». Le poche immagini storiche presenti servono più che altro a far capire cosa era il casinò per Campione negli anni d’oro – ma anche qui, meglio farlo raccontare dai campionesi, da quelli originari del comune a quelli la cui famiglia è arrivata più recentemente, attratta anche dalle opportunità economiche.
Qual è il rapporto tra la popolazione e il casinò che Cirigliano ha trovato a Campione? «Odio e amore: amore, perché ormai fa parte del Dna dei campionesi, perché sul casinò ci hanno campato per tanti anni; odio, perché alla fine è stato proprio il casinò a tagliargli le gambe». Senza dimenticare la presenza fisica del casinò, «talmente grande che è ovunque: anche quando non lo vedi, hai l’impressione che ti soffia alle spalle. Ed è difficilissimo per i campionesi, penso, immaginarsi una vita senza questo colosso».
Il documentario, come detto, non analizza le responsabilità della chiusura: come in tutti i fenomeni complessi, ci sono vari fattori, dagli errori di gestione alle nuove abitudini dei giocatori al gioco online. «Questo lato non mi interessava più di tanto: non volevamo andare alla ricerca di un responsabile, di un colpevole» ha spiegato Cirigliano. Tuttavia, «mi ha sorpreso capire che i responsabili erano e sono stati un po’ tutti: i cittadini campionesi in tutti questi decenni hanno chiuso gli occhi, hanno chiuso le orecchie finché le cose andavano ancora bene... hanno deciso, volontariamente o no, di chiudere gli occhi, forse per ingenuità, forse per comodità».
A questa cecità è seguito, come accennato, l’immobilità di chi, completamente disorientato, si chiede cosa succederà. Con alcune eccezioni: Fabrizio è uno dei pochi campionesi incontrati dai due registi a non restare fermo. Nel film lo vediamo mentre, accompagnato dalla sua capra, pianta dei nuovi fiori nelle aiuole sul lungolago. «Fabrizio si rimbocca le maniche, ritrova una certa umiltà, un certo altruismo: è uno che di tasca sua prende e fa» ha ricordato Cirigliano. La sua figura è centrale perché «può essere un primo passo per uscire dalla crisi: non stare lì a disperarsi, ma fare quello che si può fare concretamente». Anche se, ha subito aggiunto Cirigliano, «la realtà è piccola, i mezzi sono pochi e le vere soluzioni devono necessariamente passare sul piano politico».
‘Architettura della felicità’ è da oggi nelle sale della Svizzera italiana. I due registi Michele Cirigliano e Anton von Bredow presenteranno il film domani, venerdì 19 settembre, alle 20 al Cinema Otello di Ascona e il giorno dopo, sabato 20 settembre, alle 18 all’Iride di Lugano.