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Tagliare in silenzio

(Keystone)
20 febbraio 2025
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In un contesto sociopolitico ed economico come quello attuale, in cui imperversa il richiamo al contenimento della spesa, pubblica naturalmente, rea di passare il proprio dispendioso tempo a “mettere le mani nelle tasche dei cittadini”, anche l’azienda radiotelevisiva nazionale di servizio pubblico, la Srg/Ssr, vive il momento più difficile della sua esistenza. Confrontata con le minori entrate pubblicitarie, l’aumento dei costi di produzione, ma soprattutto con i duri attacchi di un cospicuo fronte politico in governo, in parlamento (e anche in piazza, con un’iniziativa specifica) la Ssr risponde esibendo la propria volontà di risparmiare sin da subito, prima ancora che concretamente si vada in votazione. Una “strategia” che vorrebbe mostrare alla politica e all’opinione pubblica la buona volontà, lo sforzo concreto che si sta compiendo per andare incontro preventivamente alle istanze di chi, sulla base di ragioni discutibili vendute come inattaccabili, ritiene che – detto un po’ sommariamente – la riscossione del canone sia praticamente un furto.

Il caso ‘Wissenschaftsmagazin’

Una settimana fa o poco più, l’unità aziendale svizzero-tedesca Srf (quella più grande e importante per bacino d’utenza, per intenderci) ha annunciato un ennesimo pacchetto di tagli su programmi e su collaboratori. Oltre 50 i posti che dovrebbero saltare quest’anno, in relazione alla soppressione di alcune testate giornalistiche, soprattutto radiofoniche. Fra esse, due settimanali “culturali”: la rubrica economica e quella scientifica, ritenute troppo care rispetto al pubblico che raggiungono. È il classico principio dell’”audience”, per cui sei premiato (con la sopravvivenza) se fai un numero di spettatori ritenuto rilevante rispetto a quanto costi. Un tipo di ragionamento con cui certamente si confronta quotidianamente tanta stampa “indipendente” ma che, a priori, non dovrebbe valere, almeno come unico criterio, per un’azienda pagata dai cittadini, da tutti i cittadini. Infatti, proprio a proposito della cancellazione della rubrica settimanale scientifica “Wissenschaftsmagazin” si è alzato, improvviso, nella Svizzera tedesca, il polverone della polemica. Sì perché è stato lo stesso programma radiofonico a dedicare la prima parte di una sua recente puntata alla propria imminente scomparsa. E l’ha fatto in modo giornalisticamente ineccepibile: annunciando agli ascoltatori che fra qualche mese il programma non andrà più in onda, proponendo le ragioni aziendali che hanno portato a tale decisione e ospitando voci dissenzienti rispetto a questa stessa decisione. Una “prima” assoluta per la Ssr, che ha riscosso un’ampia ondata di solidarietà, tradotta in centinaia di post e commenti di colleghi e di ascoltatori “eccellenti” (del mondo accademico) pubblicati nelle pagine social dei giornalisti colpiti. Ma nel giro di un giorno o due tutti questi commenti sono spariti su richiesta della dirigenza Srf, con relativa “pressione” sui propri dipendenti affinché li cancellassero. Numerosi i siti giornalistici (si veda ‘persönlich.ch’, oppure ‘nau.ch’ o ancora ‘infosperber.ch’) che hanno confermato di aver scritto ma di non trovare più i propri testi di sostegno al programma e ai suoi redattori.

Il caso si presta a molte interpretazioni e dovrebbe certamente aprire un doveroso dibattito. È chiaro che la Ssr si trova in grande difficoltà, minacciata pesantemente nella sua stessa esistenza da un ventaglio di critiche che possono essere legittime quanto totalmente pretestuose. Per l’azienda è un momento durissimo di “legittimazione” in cui, forse, dovrebbe considerare un po’ di più il patrimonio di idee e di esperienze che ha al suo interno anche quando queste idee e queste esperienze non sono propriamente allineate alle decisioni della dirigenza. I panni (sporchi?) si lavano in casa, è sempre stato così, e non solo alla Ssr. Ma perché agire d’imperio, silenziare il dissenso e non dare comunque ascolto a chi, in nome della difesa del servizio pubblico, contesta la decisione di sopprimere l’unico programma scientifico radiofonico del panorama mediatico svizzero-tedesco?

Essere informati; sentirsi informati

Una seconda riflessione riguarda la sopravvivenza, alla Ssr come nei media in generale, del giornalismo di approfondimento, che sia scientifico, economico, latamente culturale. Da anni, a ogni stormir di fronde, le varie dirigenze delle unità aziendali hanno sempre risposto facendo anzitutto saltare qualche “inutile” programma culturale perché poco guardato e men che meno ascoltato. Non importa se i criteri di rilevamento sono stati e sono tuttora discutibili; non importa se il rilievo di un programma (scientifico, per esempio) è dato dalla competenza di chi lo realizza e sull’incidenza che il prodotto ha su un pubblico che vuole articolati approfondimenti su questioni quali la pandemia o il cambiamento climatico... che non sono poi temi tanto secondari. A chi fa notare simili argomenti, la risposta dall’alto è tendenzialmente sempre la stessa: non si cancella la cultura, ma la si toglie dalla propria “nicchia” e la si dissemina negli spazi informativi. Risultato? Dopo un po’ la cultura sparisce, perché altri e più urgenti sono sempre i temi che devono trovar posto nei programmi di informazione.

Nella crisi generale dei media (tema complesso e pieno di punti interrogativi) la situazione del giornalismo di divulgazione scientifica, economica, culturale, appare emblematicamente come l’avamposto di un’esigenza (di serietà e rigore) che dovrebbe riguardare tutta l’informazione, ma che dentro un mare di difficoltà finanziarie che ne mettono in discussione la sopravvivenza, conta sempre meno. Così una comunità che contribuisca concretamente a sostenere un’informazione pluralista, svincolata dalle pressioni economiche, fatta da professionisti competenti viene convinta che è tutta gente (di sinistra) che “mette le mani nelle tue tasche”. In fondo, abbiamo tutto a disposizione online (gratuitamente o meno, poco importa), perché dovremmo pagare un simile “balzello”. E qui varrebbe la pena di ricordare le parole di Roger Ailes, fondatore di Fox News e consulente elettorale di Donald Trump: “La gente non vuole essere informata. Vuole sentirsi informata”. Una bella differenza, che meriterebbe altre riflessioni.