laR+ I dibattiti

L’essere autorità richiede coerenza

Basta guardarsi attorno per rendersi conto che quasi tutti i ragazzi e le ragazze possiedono un telefonino e frequentano i social e che un uso improprio e massivo può provocare danni e problemi, anche veri e propri reati. Lo dicono da tempo pedagogisti, psicologi e docenti e anche molti genitori, che però non sono disposti a vietare l’uso dello smartphone ai loro figli. Perché – giustificazione comune – “li hanno tutti, togliergli il telefono e non farli partecipare ai social vuol dire escluderli, isolarli”. Un danno, pare, altrettanto grave di quello che può derivare da un cattivo uso. A meno che si impedisca a tutti di utilizzarlo. Nel nostro Cantone fa discutere un’iniziativa per vietare i cellulari a scuola. Idealmente l’approccio corretto sarebbe l’educazione a usare bene cellulare e social, senza lasciarsene travolgere. Mancando questo, non resta che il proibizionismo. Ma potrà funzionare? La storia lascia forti dubbi. La leggenda racconta che si cominciò con la proibizione della mela. Eva doveva avere un’innata quanto spiccata capacità di discernimento, e così, sentitasi meno padrona dei suoi comportamenti, ha infranto la regola. Cacciata dall’Eden, nascita del mondo (ed eccoci qui!). Il primo esempio di naturale attrazione verso ciò che è proibito. “Niente infiamma il desiderio quanto una cosa proibita” scrive Ovidio. “Posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni” rinforza Oscar Wilde. Già, il desiderio è un sentimento difficile da domare. Negli Stati Uniti, un secolo fa, per tredici anni si cercò di impedire fabbricazione e vendita di alcolici. Ma quel divieto dimostrò la verità dello slogan secondo cui “Il proibizionismo è criminogeno”. La stessa proibizione vige ancora oggi per i minorenni, ma questo non impedisce loro di ubriacarsi con bevande acquistate da altri o in modo abusivo. Ciò che è proibito induce alla trasgressione che è insita nei bambini come negli adulti. In psicologia si parla di “reattanza”: una risposta emotiva a una limitazione percepita della propria libertà. Insomma, pare che siamo impostati più per scoprire e conoscere che per obbedire. Sembra, dunque, che la storia ci dia una lezione: la libertà si impara esercitandola e l’educazione alla responsabilità è più forte delle imposizioni.

È vero, le direttive scolastiche che impongono agli allievi di tenere spento e invisibile il cellulare sono spesso inefficaci e l’utilizzo del cellulare ostacola l’apprendimento. Evidentemente il problema non è il cellulare. Come si mostra il docente agli allievi? Il filosofo Lévinas diede una risposta incredibilmente corta: “Eccomi.” Il riferimento è a un esserci come genitore e insegnante per cercare di dare il buon esempio. “Il direttore si sedeva in fondo alla classe a giocare con il cellulare, e non provava neppure a nasconderlo” (Tio del 29 ottobre 2024), “ci sono professori che giocano con il telefonino durante le lezioni” (Corriere del Ticino del 29 ottobre 2024), “alle verifiche il direttore giocava al cellulare, un atteggiamento irrispettoso” (Informatore del 31 ottobre 2024). Sono alcune frasi di bravi e coraggiosi studenti, esempi e situazioni che da anni il dipartimento (Decs) conosce e tollera. Tuttavia eccoci qui a discutere se togliere il telefonino a scuola anche a studenti che ci impartiscono lezioni. La forza più importante dell’autorità sta nel suo riconoscimento da parte degli allievi nei confronti dei docenti. In questo senso l’essere obbediente, per esempio da parte dello studente, significa la messa in atto della sua voglia di libertà nel riconoscere il docente come l’autorità educativa.