laR+ I dibattiti

Camminare in silenzio, affinché il silenzio non cali

Il prossimo 24 maggio a Bellinzona è prevista una marcia silenziosa, organizzata da cittadine e cittadini di cui non conosciamo il nome. Poco importa. Con queste righe, vogliamo invitare tutte e tutti a parteciparvi. Quando la tragicità degli eventi raggiunge i libri di storia, è spesso troppo tardi. Parlare di popoli trucidati, sterminati, annientati da una carestia forzata è fondamentale. Lo si ripete spesso: chi non conosce la storia è destinato a ripeterla. Ma fare i conti con la storia significa anche riconoscere le ingiustizie e i massacri che si consumano sotto i nostri occhi.

Quello che accade oggi alla popolazione palestinese non ci pare abbia bisogno di molte spiegazioni. Le Nazioni Unite, Amnesty International, Human Rights Watch, la Corte Internazionale di Giustizia, la Corte Penale Internazionale, Medici Senza Frontiere – per citare solo alcune istituzioni di indiscussa autorevolezza – parlano chiaro: a Gaza sono in corso gravi violazioni dei diritti umani. Crimini contro l’umanità, secondo molti esperti. Violenze così potenti, che rendono le stesse parole inadeguate. La sofferenza è sofferenza. Ovunque. Essere imprigionati, torturati, umiliati, perdere una persona cara uccisa è un dolore che non fa distinzioni. Quando però il governo di uno Stato, che si proclama democratico, sfrutta queste sofferenze per renderle arma politica, quando fomenta l’odio invece di perseguire la giustizia, la questione diventa un’altra.

Israele è formalmente uno Stato democratico, ma i suoi limiti sono evidenti: il trattamento dei Palestinesi nei territori occupati – ben prima del 7 ottobre – i diritti civili diseguali e la legge fondamentale del 2018, che definisce Israele come “Stato-nazione del popolo ebraico”, sono tutti elementi che spingono molti osservatori a definirlo una “democrazia etnica”. Dalla democrazia etnica alla pulizia etnica, il passo rischia di essere breve. E in tempi come questi quel passo si fa più corto. Israele, purtroppo, non è solo. Anche altre democrazie mostrano segni di erosione: elezioni ridotte a formalità, populismi dominanti, polarizzazioni alimentate dagli stessi partiti di governo, disinformazione calibrata e sistematica, restrizioni ai diritti civili. La democrazia oggi è sotto pressione. Come i ghiacciai, si sta sciogliendo lentamente.

Non è mai troppo tardi. Riconoscere a un popolo il diritto fondamentale alla sopravvivenza, ancora prima che all’esistenza, significa restituirgli legittimità politica e dignità umana. È il primo passo. Per questo camminiamo. Camminiamo per denunciare le ingiustizie, per affermare il diritto all’esistenza, per ricostruire la fiducia nella democrazia e nel diritto. È una richiesta di trasparenza, di responsabilità, rivolta a noi stessi e a chi ci rappresenta. Perché il loro silenzio somiglia fin troppo a quello che, in altri tempi oscuri, ha preceduto l’irreparabile. Camminiamo come atto di resistenza, di denuncia. Camminiamo in silenzio, perché il silenzio non cali.