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Africa, chi crea la povertà

Smettiamo di dire che l’Africa Subsahariana è povera. Smettiamo di parlare di aiuti come si trattasse di beneficenza e della migrazione come la conseguenza di una miseria inevitabile. L’Africa Subsahariana è molto ricca e piena di possibilità: dalle risorse naturali a una consistente forza lavoro giovane, dall’ampia biodiversità al potenziale di un vasto mercato interno. L’economia del continente dovrebbe crescere con tassi annuali a due cifre, anziché con il 5 per cento attuale, eppure la maggior parte degli abitanti vive ancora in piena povertà. Questa contraddizione dice chiaramente che l’Africa è impoverita, che c’è stata una sottrazione sistematica di ricchezza da parte dei Paesi industrializzati, per lo più ex imperi coloniali, a cui si aggiungono un’evasione fiscale dilagante, politiche commerciali penalizzanti, corruzione e costi ambientali di un modello di sviluppo a cui l’Africa non ha mai partecipato. Le politiche commerciali internazionali hanno creato un sistema che prende dall’Africa Subsahariana le materie prime per lavorarle altrove, facendo perdere il margine di guadagno maggiore, nel settore petrolifero come in quello agricolo. Infine, ci sono i danni del riscaldamento globale, provocato altrove, com’è noto. In generale, ci vorrebbe un maggiore coinvolgimento della società civile africana subsahariana affinché i tanti squilibri, la corruzione, e certi privilegi siano denunciati ed eliminati. Per decenni le istituzioni internazionali hanno promosso privatizzazioni e aperture dei mercati alle imprese straniere e al commercio internazionale smantellando i pochi servizi pubblici esistenti senza avviare un’economia di mercato forte. Dovrebbero incoraggiare invece quei settori che permettono una crescita sostenibile e inclusiva, che ha maggiori prospettive in rapporto all’evoluzione tecnologia e alla trasformazione delle competenze, come raccomandato anche dalla Banca Mondiale. Dal punto di vista finanziario, ci vorrebbe un impegno deciso per fermare l’evasione fiscale delle multinazionali che fanno profitti in Africa Subsahariana. Si tratta, in sostanza, delle misure necessarie a limitare i danni dei cosiddetti “fondi avvoltoio” che strangolano l’economia dei Paesi in via di sviluppo, impedendo ogni reale progresso. Su questa strada, nel 2015 le Nazioni Unite avevano avviato un processo per ristrutturazione del debito. La risoluzione fu votata da 136 nazioni, con l’opposizione di Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Canada e Israele.