Marina Carobbio: ciò che sta accadendo oggi a Gaza è indescrivibile e non può lasciarci indifferenti
Negli ultimi quindici anni sono stata due volte in Cisgiordania. Ho incontrato medici al lavoro nei centri di salute. Ho parlato con mamme preoccupate, incerte su cosa sarebbe accaduto a loro e ai loro figli la sera stessa o il giorno dopo. Ho visto i bambini palestinesi a Hebron. Ho visitato il personale sanitario del Caritas Baby Hospital di Betlemme. Ho assistito alle lunghe code davanti ai checkpoint.
La storia del popolo palestinese è caratterizzata da oppressione e confino. Vite trascorse in campi profughi e prigioni a cielo aperto. Eppure, nonostante tutto, in quegli anni ho sempre sentito una certa speranza: che finalmente anche la Palestina potesse essere riconosciuta come Stato e che un giorno la pace avrebbe avuto il sopravvento. Ma ciò che sta accadendo oggi a Gaza è indescrivibile e non può lasciarci indifferenti. Grazie alle immagini diffuse sui social da chi riesce a sopravvivere, e al coraggio di giornaliste e giornalisti che rischiano la vita per documentare l’orrore, possiamo vedere con i nostri occhi l’indicibile.
A inizio marzo, poi, l’attuale governo di Israele ha bloccato nuovamente l’ingresso di acqua potabile, cibo e medicine nella Striscia di Gaza. I pochi camion di aiuti umanitari autorizzati negli ultimi giorni non bastano per far fronte a una crisi umanitaria di proporzioni drammatiche. Il World Food Programme delle Nazioni Unite dice oramai da giorni di aver finito le scorte. Le persone, bambini e anziani, stanno morendo di fame. E, intanto, i bombardamenti su Gaza continuano: colpiscono la popolazione, le abitazioni, gli ospedali.
La comunità internazionale ha troppo a lungo osservato in silenzio queste atrocità. Parafrasando l’appello di attiviste e attivisti italiani che da tempo cercano di richiamare l’attenzione pubblica – e soprattutto politica – affinché si agisca per fermare questa carneficina, possiamo dire che purtroppo è ormai “l’ultimo giorno” di Gaza. Ecco perché sono certa che questo pomeriggio saremo presenti in tante e tanti alla manifestazione silenziosa a Bellinzona, per invocare la cessazione delle gravi violazioni dei diritti umani in corso e la fine di questo massacro che si sta consumando sotto gli occhi del mondo. Sarà un silenzio carico di significato, volto a contrastare l’assordante indifferenza di questi mesi. Un silenzio che parla con forza, che grida basta, che domanda giustizia e pace. Spezzare l’indifferenza significa anche chiedere al governo svizzero di non guardare dall’altra parte ma di agire con decisione nei confronti del governo di Israele per fermare questa disumanità, per proteggere la popolazione civile, per aprire uno spiraglio verso una pace vera e duratura. Lo chiediamo in nome dei valori umanitari e del diritto internazionale che la Svizzera ha spesso saputo custodire e promuovere. Ma, prima di tutto, lo chiediamo come esseri umani. Perché di fronte a tanto dolore, di fronte a tanta ingiustizia, non possiamo restare inerti.