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La guerra è la guerra

(Ti-Press)

Secondo Lenin, specie nei rapporti tra Stati e Stati, deve sempre prevalere il principio: “Un esame concreto di una situazione concreta per trarre conclusioni concrete”. Che dire, allora, della guerra russo/ucraina? Vi è un aggressore, la Russia e un aggredito, l’Ucraina, e questo fatto incontestabile deve essere costantemente tenuto in considerazione. Giustizia lo vuole. Dopo l’eroica resistenza ucraina (del popolo, si può dire), oggi l’aggressore ha il sopravvento, sia sul fronte combattente sia sul fronte interno. Come mai? Perché la guerra è la guerra, ma gli alleati, benché parteggino per l’Ucraina, non ne hanno mai tenuto conto in modo adeguato… per non provocare Putin, è stato detto! Giova quindi, richiamare l’opinione del più grande teorico della guerra, Karl von Clausewitz (1780-1831): “In una questione pericolosa quale è la guerra, gli errori dovuti alla bontà d’animo sono la cosa peggiore”. Ciò, ovviamente, non giustifica il genocidio, perciò distingue tra “il sentimento di ostilità e l’intenzione ostile”, spiegando che “il sentimento di odio il più passionale, il più selvaggio e il più istintivo è inconcepibile se non è sorretto dall’intenzione di ostilità; per contro esistono intenzioni ostili, nelle quali non vi è ombra di odio o, tutt’al più, nessun sentimento preponderante di odio”. Eclatante è l’esempio del presidente repubblicano Abramo Lincoln, durante e dopo la guerra di secessione (1861-1865). Infatti, a lui si deve la prima regolamentazione della guerra, dovuta al fatto che ha sempre pensato al dopo e il dopo è stato appunto un grande successo nazionale e internazionale di tutta la nazione, oggi purtroppo in decadimento morale, economico e politico a seguito delle stravaganze di Trump.

Orbene, anche il conflitto in discussione è guerra (benché Putin, l’aggressore, lo chiami “operazione militare speciale”), per cui l’aggredita, l’Ucraina, non può difendersi solo con sanzioni economiche graduali e armi a corta portata, in quanto, spiega ancora Von Clausewitz, “ognuno spinge l’altro alle estremità, alle quali solo il contrappeso che regna nell’avversario può porre dei limiti”. È appunto questo contrappeso che, finora, ha evitato la guerra atomica, però deve regnare anche nella guerra tradizionale, in base alla “par condicio” e perché, spiega Mendès France, uno dei migliori politici del dopoguerra, “le mezze misure non sono misure”. Questo non accade nel conflitto in esame favorendo oltremodo l’aggressore e svantaggiando l’aggredito. Poco tempo dopo l’inizio del conflitto, Putin, l’aggressore, ha iniziato a parlare di pace, però a condizioni inaccettabili, in pratica la capitolazione dell’Ucraina. Gli alleati, sperando di indurlo a ragione, hanno continuato a mitigare con le sanzioni economiche graduate, ignorando il contrappeso, con quale risultato? Putin ha avuto tutto il tempo per introdurre una ferrea economia di guerra e per farsi alleati rafforzando il fronte combattente. Allo stesso tempo, il suo fronte interno, non dovendo subire (a parte il dolore e le conseguenze economiche per la perdita al fronte di familiari, ricevendo però un consistente compenso) la morte continua di civili, né tremende distruzioni dell’abitato, né la fame, né le restrizioni delle cure della salute e dello svago, né i crimini di guerra, si è assuefatto a una guerra lontana quale era per noi quella afghana. E non è tutto perché la propaganda, i successi al fronte combattente e le mire imperialistiche hanno, fatalmente, sollecitato l’orgoglio nazionale. Di conseguenza, internamente, Putin l’aggressore, salvo eliminare chi gli dava troppo fastidio, finora non ha dovuto preoccuparsi tanto e ha potuto dedicarsi costantemente alla guerra totale, giocando alla pace con Trump. Per contro, la situazione materiale e morale dei fronti ucraini è, fatalmente, esattamente il contrario.

Data questa grave disparità, cosa può l’Europa? Dopo la nuova comparsa di Trump, è sola, per di più disunita. Recentemente, il presidente francese Macron, il primo ministro britannico Starmer e il cancellerie tedesco Merz si sono eretti a una specie di direttorio europeo. Tuttavia, la loro buona volontà si scontra con l’atteggiamento sconsiderato di Trump e non è tutto, perché la presidente del Consiglio italiano Meloni, con lui fa la “giavana”, la francese Le Pen, il primo ministro ungherese Orbán e il presidente slovacco Fico, non mancano occasione per creare problemi all’Unione europea. Allora, che fare? Riferirsi ancora a Von Clausewitz? All’inizio del conflitto, molto probabilmente, sarebbe stato determinante, oggi è troppo pericoloso. Allora, accettare la pace di Putin? Perdere l’Ucraina sarebbe disastroso per l’Occidente, perciò, chi potrebbe essere di aiuto? La Guerra del ’14, la quale ha cambiato tutto il mondo, dando origine a una nuova epoca, analoga alla scoperta dell’America, con conseguenze ancora più profonde, ad esempio l’emancipazione delle donne e delle colonie; la distruzione di quattro imperi: russo, germanico, austro-ungarico e ottomano; la vittoria della rivoluzione bolscevica; l’egemonia degli Stati Uniti e, per quanto qui interessa, con l’introduzione delle armi di distruzione generale, ha soppiantato la tradizionale distinzione tra fronte di combattimento e fronte interno, con che risultato? Ha eretto la popolazione civile a parte attiva nel conflitto, anzi determinante per la pace. Infatti, nel 1918 la vittoria era incerta e tra la popolazione di ambo le parti, sfinita materialmente e moralmente, sicché spontaneamente, specie da parte delle donne dell’aggressore tedesco, echeggiò il grido “Pace a qualunque costo” e la pace fu, ma grazie anche a un’intensa generale propaganda: la nuova arma politica… per far conoscere la verità.

Quindi, la speranza risiede soprattutto nella popolazione russa, perciò è su di essa che occorre operare. In che modo? “La guerra è la guerra”, per cui non si può fare a meno di un ragionevole “contrappeso”, però sorretto da un’intensa propaganda generale, ovunque, tanto più che è diventata una tecnica scientifica atta a provocare l’adesione delle masse a un’idea o a una dottrina, sfociante nell’azione. Il momento è propizio, perché qualche cosa si sta muovendo, come lo confermano alcune opinioni raccolte recentemente dal giornalista Benjamin Quénelle (di Le Monde) nella popolazione di Kursk, capitale di una regione russa conquistata dall’Ucraina poi ripresa dalla Russia: “Nessuno può credere a questo carnevale della vergogna”.