A settembre 2020 il popolo svizzero ha approvato un credito di 6 miliardi di franchi destinato al rinnovo della flotta di aerei da combattimento. Una decisione presa con uno scarto risicatissimo – poco più di 8’000 voti – che ha però aperto la porta a un investimento militare tra i più controversi della nostra storia recente.
Durante quella campagna ero in prima linea. Partecipavo a dibattiti, interviste, serate pubbliche. Da parte nostra, non ci stancavamo di denunciare l’opacità dell’operazione: si parlava di un credito d’acquisto senza sapere quale aereo sarebbe stato scelto, senza alcuna certezza sul prezzo finale. Lo definivamo, a ragione, un “assegno in bianco”. I fautori del progetto, però, rassicuravano l’opinione pubblica con due argomenti centrali: l’esistenza di una clausola di “prezzo fisso” e la garanzia che i 6 miliardi sarebbero stati coperti dal normale budget militare, senza intaccare altri settori.
Poi, nel 2021, la decisione: il Consiglio federale opta per l’acquisto di 36 F-35 Lightning II, prodotti dalla statunitense Lockheed Martin. Un jet da attacco stealth, pensato per teatri bellici ben lontani dalla realtà elvetica, con una dipendenza tecnologica dagli Stati Uniti tale da rendere la Svizzera vulnerabile al semplice clic di Washington. Intanto, l’iniziativa “Stop F-35” raccoglie le firme necessarie, ma viene aggirata dal Consiglio federale e dal Parlamento che decidono di procedere comunque all’acquisto, ribadendo la promessa: il prezzo resterà fisso.
Spoiler: non era così.
Proprio mercoledì il Consiglio federale ha dovuto ammetterlo. Il famoso “prezzo fisso” non copre tutti i costi d’acquisto. Anzi, già oggi si prevede che il prezzo finale sarà almeno un miliardo superiore. A questo vanno aggiunti i costi di manutenzione e utilizzo, notoriamente elevatissimi per il modello F-35. Il governo parla di “malinteso” e cerca di rinegoziare con gli USA. Ma il conto, quello sì, resta saldamente sulle spalle della Svizzera. E chi ci guadagna? Lockheed Martin, colosso del complesso militare-industriale statunitense, produttore non solo degli F-35, ma anche di armi nucleari e sistemi d’arma vietati dal diritto internazionale.
Sempre mercoledì, nella stessa seduta, il Consiglio federale ha presentato il proprio pacchetto di tagli: risparmi nella formazione, nella protezione del clima, nei trasporti pubblici, nella cooperazione allo sviluppo, nella prevenzione della violenza di genere. Si toglie a chi ha bisogno per coprire le derive di una spesa militare fuori controllo.
È difficile immaginare un contrasto più netto tra le priorità di un governo: da un lato, miliardi regalati a un produttore d’armi straniero, senza che ciò migliori davvero la sicurezza del nostro Paese; dall’altro, sacrifici imposti ai settori che costruiscono il futuro del nostro Paese. Chi aveva parlato di “prezzo fisso” dovrebbe oggi almeno trovare il coraggio di dire la verità: ci avete venduto una favola. E ora ne paghiamo le conseguenze.