Il direttore dell’Unione padronale svizzera, Roland Müller, davanti alla Commissione dell’economia delle Camere federali, alla vigilia della decisione del Consiglio nazionale del 17 giugno di considerare prioritari i contratti collettivi, anche se più bassi, rispetto ai salari minimi votati in alcuni cantoni, attaccando l’esistenza stessa del salario minimo, ha affermato che “non è responsabilità dei datori di lavoro garantire un salario decente”, ma che “deve intervenire l’aiuto sociale”.
Queste parole irrispettose sono la sintesi della logica di chi ritiene, anche nel nostro cantone, che tutti i benefici debbano finire nelle tasche dei privati, mentre i costi debbano sempre ricadere sull’Ente pubblico. In Ticino siamo confrontati con un incremento del divario salariale rispetto al resto della Svizzera. La povertà e la precarietà di persone che lavorano (Gig economy, uberizzazione e disoccupazione mascherata) sono sempre più diffuse. Esiste una discrepanza sempre più marcata fra chi guadagna molto e chi guadagna poco e circa il 25% dei ticinesi non paga le imposte perché non ha un reddito sufficiente. Molti imprenditori assumono personale frontaliero per pagarlo meno e per imprimere una pressione al ribasso sugli stipendi.
Lo sfruttamento della disoccupazione nascosta delle persone precarizzate, disposte a lavorare anche per retribuzioni irrisorie, fa sì che poi debba intervenire l’aiuto sociale, che è a carico di tutti i contribuenti: «Un sistema perverso – come afferma giustamente l’economista Sergio Rossi – che è una zavorra per l’economia e la società ticinese nel suo insieme».
È perciò evidente che, attraverso tutti gli strumenti possibili, le retribuzioni insufficienti o scorrette vanno aumentate. Per ridurre il divario tra quelle più alte e quelle più basse, incentivi e disincentivi fiscali potrebbero essere utilizzati per le aziende in cui il problema è manifesto.