Oso aggiungere un paio di chiose e uno sconsolato (e, temo, inutile) appello a margine della vicenda del rimescolamento degli uffici all’interno del Governo cantonale.
A coloro che, per meriti ignoti ai più e per disattenzione del residuale elettorato, occupano/presidiano da anni i poteri della nostra piccola repubblica, è di nuovo necessario segnalare l’ovvio, e cioè che essi sono titolari di un mandato pubblico, e che questo mandato deve essere svolto con rispetto della carica, con dignità e con elementare senso della decenza, a favore di tutti i cittadini (che con le loro tasse li pagano) e non solo di coloro che li hanno colpevolmente eletti. I fatti e gli atti, le inerzie e le omissioni, di cui questa assai miserevole legislatura è costellata dimostrano che questa gente dell’obbligo di cui sopra non ha vera consapevolezza. E non mi riferisco solo al Cantone, e non solo al potere esecutivo.
Parlando del rimescolamento degli uffici, per il quale si è scomodato il lessico scacchistico (Capablanca e Fischer si stanno rotolando nella tomba), non vi sono molti dubbi che esso fosse previsto dalle norme, e quindi che sia lecito. Non c’è nemmeno dubbio sul fatto che i due comici della compagnia di giro, che per questioncine personali anche un po’ squallide hanno richiesto il cambio, abbiano una concezione surreale della carica che occupano, e del suo esercizio; fanno come se si trattasse di cosa loro, da gestire come fosse un bene proprio, e non di un alto ufficio affidato loro – temporaneamente, si sperava, ma… – da noi popolobestia. Ma di questo quotidiano provincialissimo scandalo ci siamo ormai fatti una ragione, purtroppo. Quello che però stupisce, almeno applicando banali parametri di ragionevolezza, è che i tre loro colleghi di governo abbiano accettato di farsi complici di questa mossa. Chi glielo ha fatto fare? Qualcuno ha tirato in ballo la categoria, tutta nostrana, del “quieto vivere” (di cui è borradoriana declinazione il famigerato “patto di Paese”); non so se alludendo a qualche placida e bovina interazione a livello di prassi di governo, oppure se adombrando il fatto che i tre abbiano accettato l’inaccettabile perché si attendono qualcosa in cambio o se temono che si possa chiedere loro conto di fatti commessi o di intenzioni future. Qualcosa da far dimenticare o qualche credito da spendere in futuro, insomma. Capiremo mai chi li ha spinti a fare questa evidente cavolata?
Restano naturalmente al palo i tre partiti dei complici, alle prese con qualche mal di pancia dei militanti che però riconfermeranno tutti, candidati e vertici, come se nulla fosse successo e anzi per acclamazione; come bulgari. “Heautontimorumenos”, il nome dice qualcosa? Qualche lettore di Terenzio (o di Baudelaire, o di Gozzano) ricorderà l’archetipo del punitore di se stesso; da noi, i comportamenti della casta hanno anch’essi qualche aspetto autopunitivo, ma qui senza alcuna bella motivazione etica. Da noi siamo al puro tafazzismo; nelle stanze dei bottoni si confida però, non a torto viste le esperienze fatte, nella memoria da pesce rosso degli elettori quando verrà il momento. In un paese normale, tutte queste penose manfrine sarebbero punite nell’urna; da noi, nulla, “ni vu ni connu”.
A noi elettori – e qui l’appello – resta solo la protesta suprema, e un po’ suicidale, dell’astensione massiccia; l’unico modo che ormai rimane per togliere legittimità a un sistema, a una casta e alle mezze figure che da anni ci vengono imposti.