L’unanimità del Consiglio di Stato su quello che è stato da più parti battezzato l’“arrocchino”, nella sua mediocrità, ha rilanciato un dibattito di capitale importanza: quello sul nostro sistema elettorale, sul modo in cui eleggiamo il governo cantonale. Quello che a prima vista sembra un freddo tecnicismo ha in realtà risvolti politici non da poco. Negli scorsi giorni, il direttore di questa testata notava a giusto titolo che il sistema elettorale proporzionale oggi in vigore in Ticino si traduce nell’“inesistenza di una vera alternanza” al governo, e auspicava in conseguenza il passaggio a un maggioritario.
Altri Stati, in effetti, applicano dei sistemi maggioritari che facilitano una cosiddetta “alternanza di governo”, cioè un avvicendamento tra i partiti al governo da un’elezione all’altra – avvicendamento che, almeno in teoria, dovrebbe aver luogo regolarmente e dovrebbe essere legato alla popolarità dell’azione dei governanti. Senza entrare qui in una riflessione su quanto queste alternanze di governo avvengano davvero regolarmente (si pensi agli interminabili governi conservatori nel Regno Unito, separati da brevi intervalli laburisti) e siano foriere di cambiamenti politici significativi (si pensi alle numerose continuità tra governi conservatori e socialdemocratici in Germania, o tra i governi gollisti, socialisti e macroniani in Francia), bisogna rilevare che alle nostre latitudini il maggioritario con cui potremmo eleggere il Consiglio di Stato produrrebbe difficilmente questo tipo di alternanza di governo.
Con ogni probabilità, in Ticino si introdurrebbe un maggioritario “alla svizzera”, vale a dire, in grandi linee, l’elezione diretta del governo con voto ai singoli candidati (e non ai partiti), praticata in tutti gli altri cantoni della Confederazione per l’elezione del Consiglio di Stato. Sarebbe comunque un cambiamento enorme rispetto al proporzionale oggi in vigore. Con il sistema elettorale attuale (imposto eccezionalmente dalle autorità federali al turbolento Ticino nel 1892, poi adattato negli anni), i seggi del Consiglio di Stato vengono ripartiti tra i partiti (p. es.: 2 alla Lega, 1 al Plr, 1 al Centro, 1 al Ps) e sono poi attribuiti ai candidati più votati delle rispettive liste (Gobbi e Zali per la Lega, Vitta per il Plr, De Rosa per il Centro, Carobbio per il Ps). Il che permette ai partiti di governo di presentare liste de facto “bloccate”, cioè composte dagli uscenti (o, in mancanza di uscenti, da uno/due candidati forti) e da candidati di contorno senza nessuna reale chance di elezione. Riducendo così il potere decisionale dell’elettorato.
Con un maggioritario “alla svizzera”, i seggi del Consiglio di Stato sarebbero attribuiti ai cinque candidati più votati del Cantone, indipendentemente dal partito di appartenenza. Il che vuol dire che un partito che presentasse un candidato impopolare rischierebbe seriamente di perdere un seggio. Nel passato recente, è successo in Canton Vaud, dove l’uscente Cesla Amarelle (Ps) non è stata rieletta in Consiglio di Stato (a beneficio della candidata del Centro) dopo aver tentato di far passare con la forza una riforma scolastica invisa al corpo insegnante e alle associazioni dei genitori. Chissà cosa succederebbe in Ticino, in un contesto di frammentazione partitica e di sfiducia nelle istituzioni, se i partiti di governo ripresentassero gli attuali consiglieri di Stato? E chissà come mai gli stessi partiti di governo fanno melina sulla questione dell’elezione del Consiglio di Stato con il maggioritario (mentre sono stati celeri sulla soglia elettorale per il Gran Consiglio, poi fortunatamente bocciata)?
Si dice che la storia politica del Canton Ticino sia, a conti fatti, la storia della sua legge elettorale. Appare allora chiaro che se l’elezione diretta del governo con il proporzionale ha permesso di stabilizzare le istituzioni ticinesi nell’immediato post 1890 (cioè dopo l’insurrezione armata che riportò i liberali al governo e vide morire il giovane consigliere di Stato conservatore Luigi Rossi), nel contesto storico attuale questo sistema elettorale figura tra le cause dei principali mali politici di questo cantone: la mancanza di spessore politico tra i governanti, il consociativismo nel nome degli interessi di bottega, l’immobilismo istituzionale di fronte a sfide epocali, l’azione di governo come gestione spiccia dell’oggi anziché come pianificazione del domani, la perdita di fiducia nei confronti della politica. E allora ben venga il maggioritario “alla svizzera”: anche se non permetterà una vera alternanza di governo, perlomeno obbligherà i partiti che oggi siedono nella stanza dei bottoni a proporre candidature di spessore e creerà le condizioni per superare lo stagnante quadripartito. E allora, forse, si aprirà una nuova fase nella storia politica del nostro cantone.