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Il clima cambia, la giustizia si muove

(Ti-Press)

Approfittando di un’estate relativamente mite, taluni commentano che il cambiamento climatico non sarebbe poi così grave. Eppure, una visione locale e a breve termine non può oscurare una realtà scientificamente documentata: il riscaldamento globale è in corso, e le sue conseguenze sono sempre più estreme. Infatti, mentre il Ticino gode di temperature gradevoli, il Sud Italia brucia sotto ondate di calore da record, i ghiacciai alpini si ritirano a ritmo accelerato e vaste aree del Sud globale affrontano desertificazione, inondazioni e cicloni con impatti devastanti sulla vita e sull’economia.

Il cambiamento climatico non è più un’allerta per il futuro: è una crisi attuale. E ora anche la giustizia internazionale inizia a prenderne atto. Il 23 luglio 2025, la Corte internazionale di giustizia dell’Aia ha stabilito un principio fondamentale: i Paesi hanno l’obbligo giuridico, sancito dal diritto internazionale, di ridurre le proprie emissioni di gas serra. Inadempienze in questo ambito possono costituire un illecito internazionale, con la prospettiva concreta di risarcimenti per i danni causati ai Paesi più vulnerabili. È una svolta storica, che rafforza una traiettoria già tracciata con il Protocollo di Kyoto, proseguita con l’Accordo di Parigi, e oggi sostenuta dalla giurisprudenza: lo scorso anno, anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Svizzera per la sua inazione climatica nel caso KlimaSeniorinnen, riconoscendo che la protezione del clima è ormai parte integrante del diritto alla vita e alla salute.

Il clima, dunque, non è più solo una questione ambientale o tecnica. È una questione di giustizia, equità e responsabilità. Nessuno Stato può più dirsi estraneo o troppo piccolo per fare la differenza. E qui entra in gioco proprio la Svizzera. Spesso si tende a descriverla come un Paese marginale dal punto di vista climatico. Ma se si considerano le emissioni legate al consumo ‒ cioè, quelle prodotte all’estero per soddisfare i nostri bisogni quotidiani ‒ la Svizzera rientra tra i maggiori inquinatori pro capite al mondo. Gran parte dell’inquinamento che alimenta la crisi climatica avviene nei Paesi dove vengono prodotte le nostre merci, estratte le nostre risorse o generata l’energia per il nostro stile di vita. È un fenomeno noto come esternalizzazione delle emissioni. Eppure, l’impronta resta nostra. Oltre a ciò, i capitali elvetici finanziano, in modo diretto o indiretto, industrie fossili in tutto il mondo, alimentando modelli economici non compatibili con la transizione ecologica.

In altre parole: non solo possiamo fare di più, dobbiamo farlo. Non per senso di colpa, ma per coerenza. Chi ha più risorse, più stabilità e più influenza ha anche più responsabilità. Servono politiche di riduzione delle emissioni, una finanza più trasparente, investimenti in tecnologie pulite, e un sostegno reale ai Paesi che stanno già pagando il prezzo più alto della crisi. Il cambiamento climatico c’è. I tribunali iniziano a riconoscerlo come ingiustizia. E la Svizzera, se vuole restare fedele ai propri valori democratici, umanitari e scientifici, deve essere parte della risposta. Non solo con parole, ma con azioni concrete.