A molti fa comodo bollare la fiducia in una giusta politica di ridistribuzione della ricchezza come un’ingenuità imperdonabile. Ogni discorso sulla giustizia sociale è accolto con sospetto, come se dietro ogni richiesta egualitaria si celasse una strategia di potere, un’ipocrisia o un’utopia adolescenziale ormai superata. Eppure, se vogliamo risolvere i problemi concreti di una società in crisi occorre tornare al “coraggio di credere ancora”.
Oggi più che mai, in un contesto di insicurezza sociale e bassi salari, in cui i costi per la vita di tutti i giorni e per la salute crescono, mentre l’invecchiamento della popolazione pesa sull’intero sistema, è necessario essere convinti che la solidarietà non è una parola vuota, ma una responsabilità concreta.
Nel Cantone Ticino, lo 0.8% dei contribuenti – gli ultimi dati ufficiali sono del 2020 – è plurimilionario, con patrimoni fra i 5 e i 10 milioni o con ricchezze individuali che superano i 10 milioni. Una quarantina superano i cento milioni. Alcuni sono miliardari. Ciò significa che un’infima minoranza – ricordate tutti la 99% – detiene quasi il 50% della ricchezza collettiva.
È davvero così ingenuo pensare che a questa élite privilegiata, già lautamente premiata dagli sgravi fiscali, si possa chiedere uno sforzo fiscale minimo per finanziare un sistema sanitario equo, con premi per la Cassa Malati sostenibili per tutta la popolazione, comprese tutte le fasce del ceto medio?
Basterebbe un lievissimo incremento fiscale dello 0.8% sui patrimoni di queste persone fisiche per finanziare i sussidi richiesti dall’iniziativa 10% del PS in votazione ora.
Chiedere un contributo più equo a chi ha molto, per garantire cure, dignità e sicurezza a chi ha meno, non è utopia: è civiltà. Come a suo tempo per l’AVS, bisogna semplicemente avere un po’ di fiducia in un futuro più giusto.