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La cacciata 2.0

30 settembre 2025
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“Il 9 aprile, bande di terroristi attaccarono questo pacifico villaggio, che non era un obiettivo militare, uccidendo la maggior parte dei suoi abitanti (240 tra uomini, donne e bambini) e trasportando alcuni di loro come trofei vivi in una parata per le strade di Gerusalemme”. Con questo esempio, 28 intellettuali ebrei – tra cui Albert Einstein e Hannah Arendt – denunciavano sulle pagine del New York Times del 1948 le pratiche “strettamente affini ai partiti nazista e fascista” del partito fondato da Menahem Begin a cui le bande di terroristi responsabili degli attacchi facevano capo. In seguito, la democrazia premiò Begin eleggendolo alla carica di primo ministro. La restituzione del Sinai all’Egitto, dopo 12 anni di occupazione, gli valse addirittura il premio Nobel per la Pace.

L’uomo forte di quegli anni era David Ben Gurion (nato Grün), il leader e fondatore dello Stato di Israele. Lo storico israeliano Simha Flapan, nel suo libro ‘The Birth of Israel – Myths and Realities’, riporta la seguente frase pronunciata nel 1938 da Ben Gurion davanti all’esecutivo sionista, frase che non lascia dubbi sulle loro intenzioni: “Dopo la formazione di un grande esercito sull’onda della costituzione dello Stato, aboliremo la partizione ed espanderemo il nostro territorio a tutta la Palestina”. Proposito completato da quanto scrisse a suo figlio nel 1937: “Dobbiamo espellere gli arabi e prendere il loro posto”, fatto riportato dal rabbino Dr. Chaim Simons nel suo libro ‘A Historical Survey of Proposals to Transfer Arabs from Palestine – 1895-1947’. Appena ottenuta, attraverso pressioni politiche, ricatti e persino minacce di morte, l’approvazione del piano di partizione da parte dell’Onu, iniziò quella che è stata definita una vera e propria pulizia etnica. Secondo lo storico israeliano Ilan Pappé, al termine della terza ondata di violenze, “dei circa 900’000 palestinesi che vivevano nei territori designati dall'Onu come Stato ebraico, solo 100’000 rimasero sulle loro terre e nelle loro case o nelle vicinanze”. La superficie attribuita dall’Onu a Israele era di 14'100 km². Grazie alle operazioni di quelle che ironicamente vengono ancora chiamate Idf (Forze di difesa israeliane), alla fine delle 130 ore di guerra del 1967 la sua superficie era passata a 102'000 km², si era cioè moltiplicata per sette. L’espansione del ‘Lebensraum’ – concetto tristemente noto alla storia – ha portato alla creazione di circa 150 insediamenti fuori da Israele, dove vivono oltre mezzo milione di israeliani e dove nel 2025 è iniziata la costruzione di ulteriori 21'027 unità abitative, mentre nella Striscia di Gaza proseguono i preparativi per l’arrivo di nuovi coloni, utilizzando gli stessi metodi denunciati da Einstein e dai suoi cofirmatari.

Stiamo dunque assistendo al secondo atto di una tragedia che la giustizia avrebbe dovuto fermare già dal primo, affrontando i temi finora ignorati anche dai trattati di pace, a cominciare dal diritto al ritorno o il risarcimento dei rifugiati, sancito dall’Onu nel dicembre del 1948 ma mai attuato. Grazie alla complicità del nostro silenzio, Libano e Siria possono cominciare a tremare per i prossimi passi verso la realizzazione del ‘Grande Israele’.