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Fino in fondo

Vorrei che tu arrivassi fino in fondo a questo articolo, ma so che, quando capirai di cosa parlo, forse girerai lo sguardo, ti distrarrai, passerai oltre. Lo capisco: succede anche a me. È umano proteggersi da ciò che fa male, e in fondo è un buon segno se riesci a sentire come tua una sofferenza altrui.

Facciamo un esercizio: pensa ai tuoi figli o ai tuoi nipoti. Immagina di doverli seppellire, uccisi da un attacco di droni o missili senza volto. Pensa all’urlo straziante di chi vive tutto questo ogni giorno (stai ancora leggendo?). Pensa che non sia un errore, ma un’azione pianificata per annientare quella generazione, che una dopo l’altra tocca sempre a te seppellire.

Pensa alla tua casa, a ciò che contiene, al valore immateriale che ha per te – il tuo rifugio. Ora immagina che venga fatta saltare in aria, distrutta con la sua storia. E chi lo fa, lo fa per gioco, si filma e ride mentre tu perdi tutto ciò che ti resta. Sembra un incubo, ma se sei ancora con me, sai di cosa parlo: di un genocidio. Forse hai evitato le notizie, hai girato pagina alla parola “Palestina”, hai cambiato discorso. Ma io voglio riportarti lì, a quella sofferenza, all’impotenza che il genocidio più mediatizzato della storia ti provoca.

E voglio che quella sofferenza diventi rabbia, che quella rabbia diventi indignazione, e che quell’indignazione tu la trasformi in qualcosa di concreto. Se sei arrivato in fondo a questo testo, puoi farlo anche dopo, quando alzerai lo sguardo. Ma non da solo – mai da solo. Siamo in tanti quelli che scendiamo in piazza, scriviamo, diffondiamo informazione, protestiamo, boicottiamo. Così, almeno, quando i tuoi nipoti ti chiederanno: «Tu dov’eri quando l’umanità moriva sotto l’imperialismo?», non dovrai vergognarti di aver guardato altrove.