Qualche giorno fa, uno dei nostri Telegiornali trasmetteva l’intervista a un giovane ebreo israeliano che manifestava, con molti altri, contro la tragedia in corso in Palestina: “Questi fatti” diceva “verranno giudicati fra 40-50 anni; io voglio essere sicuro di stare dalla parte giusta della Storia”. Questa frase, oltre ad essere un atto quasi commovente di fiducia verso la Storia, è un atto di fedeltà alla sua coscienza, unica bussola sicura che indica dove sta la giustizia. Mi ha dato speranza. Se al popolo palestinese è ancora concesso un filo di speranza, credo che questo sia aggrappato alla coscienza di ognuno di noi.
Di fronte alle immagini di devastazione che ci giungono quotidianamente, alla mattanza, ai numeri sempre crescenti di bambini, donne, anziani uccisi, feriti, mutilati, affamati, di fronte alle testimonianze di medici che, pur avendo alle spalle esperienze in molte guerre, tornano straziati da quello che hanno vissuto a Gaza, finalmente, il dolore delle nostre coscienze comincia a dire Basta!
In quanto cittadina svizzera, mi ferisce profondamente non solo il silenzio complice del nostro governo, ma mi indigna il disegno del capo del Dipartimento degli affari esteri che, dall’inizio del suo mandato, si è prodigato per screditare l’Unrwa e negare i diritti del popolo palestinese sanciti dall’Onu (merita una rilettura l’articolo di F. Cavalli su Area del 30.5.2018!).
Dovrebbero porsi una domanda i nostri consiglieri federali: perché oggi la nostra neutralità ci impedisce di proteggere ad alta voce il diritto internazionale, le vittime, i valori che sono anche i nostri? La risposta dovrebbero affidarla alle loro coscienze, perché non sarà l’opportunismo politico, nemmeno se camuffato da diplomazia, a poterli assolvere davanti al popolo e davanti alla Storia.