Ho letto con stupore e indignazione il trafiletto su laRegione di martedì 8 luglio in cui si informava della conclusione della vicenda degli spadisti svizzeri che si erano girati dall’altra parte quando, durante la premiazione, era stata issata la bandiera israeliana al ritmo del rispettivo inno. La Swiss Sport Integrity ha punito gli atleti a svolgere lavori socialmente utili, a farsi carico di parte delle spese processuali e, e qui risuona tutta l’assurdità della situazione, a seguire un corso sull’etica dello sport. Quando la Russia ha invaso l’Ucrania, il mondo dello sport ha dapprima escluso i suoi atleti e atlete da ogni competizione e poi li ha riammessi senza bandiera. Quando invece Israele invade Gaza con una rappresaglia di tale violenza, in risposta all’attacco del 7 ottobre, da essere ormai definita chiaramente genocidio, i suoi atleti e atlete continuano a essere ammessi a tutte le competizioni e possono usare la propria bandiera. Mi sembra quindi evidente che i comitati sportivi stiano usando, esattamente come molti politici, due pesi e due misure, rendendosi così in qualche modo complici di questo genocidio. Eppure, se degli atleti dimostrano maggiore aderenza ai valori dello sport, che si vuole contro la violenza, vengono sanzionati. Ora, è troppo comodo usare la solita scusa che lo sport non si deve mescolare con la politica, in primo luogo perché lo ha già fatto (ad esempio con la Russia), in secondo luogo perché è semplicemente una scelta di morale individuale (qualcuno almeno ancora ce l’ha e non segue solo i propri interessi) degli atleti, che non si sono comprensibilmente sentiti a loro agio a prestare omaggio alla bandiera di un Paese genocidario. Forse allora il corso di etica dovrebbe piuttosto farlo la Swiss Sport Integrity.