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Dazi, sanità e l’arte di perdere tempo

La recente trasferta dei due consiglieri federali negli Stati Uniti per discutere dei dazi si è conclusa con un nulla di fatto. Tre mesi di silenzio, poi un viaggio Oltreoceano che, al di là delle foto di rito, non ha portato alcun risultato concreto. Nel frattempo, a casa nostra, si è deciso di introdurre il lavoro ridotto: un passo utile per tamponare l’emergenza, certo, ma ben lontano dall’essere la soluzione che un’economia solida e dinamica come quella svizzera meriterebbe.

E mentre si guarda Oltreoceano, i problemi interni restano congelati, anzi, dimenticati. Il tema dei costi delle casse malati è l’esempio più lampante: un altro anno è passato, e a settembre assisteremo allo stesso copione di sempre. Quest’anno però, il 28 settembre, saremo chiamati alle urne per esprimerci su due iniziative popolari che promettono di affrontare il problema. Ma sarà davvero la soluzione? E soprattutto: chi pagherà l’implementazione, quando il Cantone deve già tagliare? L’impressione è quella di un gatto che si morde la coda: si cerca di ridurre il peso da una parte, solo per aumentarlo dall’altra. Palliativi, più che riforme strutturali.

Sui dazi come sulla sanità, la strategia sembra la stessa: attendere, poi reagire in ritardo, senza una visione né un piano credibile. È difficile non pensare che questa classe politica, tra rinvii e viaggi inconcludenti, stia lentamente accompagnando il Paese verso il baratro. Una commedia che ormai somiglia sempre più a una farsa.