Aveva promesso di risolvere la questione russo-ucraina in 24 ore. Servirà molto più tempo
Dagli slogan alla crudezza della realtà. In campagna elettorale Donald Trump aveva promesso di risolvere la questione russo-ucraina “in 24 ore”. Adesso i suoi uomini parlano di cento giorni di lavoro diplomatico per raggiungere una qualche intesa, mentre viene programmato un summit con Vladimir Putin – forse in marzo, forse in Svizzera – stando a fonti russe. Tre-quattro mesi, partendo dal 20 gennaio, giorno del suo insediamento, significa che si arriverà all’estate. E nel frattempo cosa succederà? Quante possibilità ha davvero Trump di fermare il conflitto?
Nel classico gioco delle parti il presidente uscente Joe Biden ha continuato a riempire Kiev di soldi e di armi. Ma non solo: ha stretto la cinghia delle sanzioni contro l’industria petrolifera russa. E così nel mirino Usa sono entrate un paio delle maggiori compagnie e la ‘flotta ombra’. Il giro di vite è stato così forte che cinesi, indiani e turchi – i maggiori compratori del cosiddetto ‘oro nero’ federale – si sono presi tempo per decidere se e come proseguire ad acquistare dai russi.
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In gioco c’è molto di più
Prima tale giro di vite non si poteva dare, altrimenti il prezzo del petrolio sui mercati mondiali sarebbe schizzato alle stelle. Il settore energetico – nonostante la cura dimagrante iniziata dopo il febbraio 2022 – vale ancora un terzo delle entrate nel bilancio di Mosca. L’obiettivo di Washington è ridurre ulteriormente i fondi a disposizione dell’economia di guerra disegnata dal Cremlino. La ragione è semplice: sia i democratici sia i repubblicani Usa non si fidano di Putin. Appena finirà i soldi, questi tornerà a più miti consigli. Del resto è stato così per l’Unione sovietica, fallita finanziariamente anche per la corsa agli armamenti.
Sebbene si speri – poiché disperati per tanta morte e distruzione a Est – che Trump abbia la bacchetta magica e offra a Putin la possibilità di riparare in parte al gravissimo errore di attaccare l’Ucraina nel febbraio 2022, è difficile ritenere che, come d’incanto, venga definita una tregua. Un cessate il fuoco implica avere già definiti a grandi linee dei termini di una possibile intesa. L’Ucraina è disposta a cedere territori? La Russia cosa farà con la sua oblast’ di Kursk occupata dai militari nemici? Avverranno scambi di regioni tra Mosca e Kiev?
Due sono, però, i veri nodi da sciogliere. Il primo riguarda la sovranità ucraina nel quadro di una stabile architettura di sicurezza europea. Il secondo è rappresentato dalle sanzioni occidentali contro la Russia, sanzioni che stanno levando il fiato a Mosca. Né Zelensky né Putin possono permettersi concessioni su tali nodi. Kiev, che chiede l’adesione alla Nato, è memore che nel 1994 aveva ceduto l’arsenale nucleare ereditato dall’Urss. E in cambio, con il memorandum di Budapest, aveva ottenuto garanzie sulla sua integrità territoriale e sovranità. Sappiamo com’è andata.
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Trump e Putin insieme a Helsinki nel 2018
Mosca è nella posizione di dover riannodare i rapporti con l’Occidente, altrimenti la sua economia è destinata a lunghi anni di sofferenze. Stando ai soliti ben informati, siamo lontani dallo sciogliere questi due nodi. Finora Trump ha solo minacciato ulteriori sanzioni se il Cremlino non assumerà posizioni concilianti. Putin vorrebbe ridiscutere gli equilibri globali, ma Trump non pare disponibile. Ecco perché gli scenari rimangono per ora cupi.