La nota ricetta dei tassi d’interesse nulli o negativi rischia di non essere sufficiente per scongiurare il rischio deflattivo-recessivo
È nella favola di Fedro che i draghi vengono per la prima volta identificati come guardiani di tesori nascosti. La mitologia medievale poi è piena zeppa di storie di queste creature che custodiscono l’oro nelle caverne. C’è chi sostiene che quella dei draghi non fosse una mera mania da tesaurizzatore, bensì una strategia per contrastare il reumatismo: per alleviare il mal di schiena si sdraiavano sopra le monete d’oro, che scaldavano (senza bruciarle) con le loro fiammate. Tra quelli più vicini ai nostri tempi c’è il drago Smaug: colui che – racconta Tolkien ne ‘Lo Hobbit’ – costruisce il suo giaciglio impossessandosi di tutti i tesori dei Nani e ponendo fine al loro “Regno sotto la Montagna”.
Ci sono poi, nel nostro “Regno sotto la Montagna”, altre creature che impersonano i draghi, in una sorta di gioco di ruolo alla Dungeons & Dragons. C’è un drago piuttosto tecnico e uno politico: il primo è il presidente della Banca nazionale svizzera Martin Schlegel, il quale di questi tempi dorme sogni poco sereni sopra l’enorme cumulo di averi custoditi dalla Bns. Riserve auree e monetarie che si riflettono, insieme alle solide fondamenta dell’economia svizzera, sul franco. Un bagliore troppo intenso che rafforza eccessivamente la moneta nazionale, al punto di penalizzare l’export elvetico. Col rischio di sanzioni Usa in caso di intervento sul mercato dei cambi, in questa fase l’unico strumento a disposizione di Schlegel per provare a contenere la forza del franco è la leva dei tassi d’interesse. Tassi che fra poco potranno tornare nulli (come l’inflazione svizzera di aprile) o addirittura negativi. Una ricetta conosciuta ma di dubbia efficacia per riuscire a scongiurare il rischio deflattivo-recessivo – nel contesto della guerra commerciale scatenata da Trump – se non verrà abbinata a una politica di bilancio anch’essa espansiva.
Eccoci, allora, confrontati col secondo drago: quello a capo del Dipartimento federale delle finanze, nonché presidente della Confederazione, Karin Keller-Sutter. Anche lei, indossando i paraocchi dell’austerità, dorme nella sua caverna sopra una montagna di ricchezza, mentre all’esterno molti Nani-cittadini subiscono i dolori – reumatici, ma anche sotto la colonna vertebrale – provocati da una politica incapace di comprendere che è giunta l’ora di infrangere certi tabù. Secondo Mario Cribari – non un economista eterodosso che rivendica il “mantra” dell’indebitamento per questioni ideologiche, ma il responsabile di una società di Investment Management di Lugano (ripreso “tel quel” dall’immacolato foglio di riferimento di fiduciari e banchieri) – quel che serve è tutt’altro che austerità: “L’unica giusta misura per svalutare il franco a livelli più sostenibili e ravvivare l’economia è quella di tornare a vivere nel mondo contemporaneo e aumentare significativamente il debito pubblico”. Idealmente – aggiungiamo noi – con la Bns quale creditore.
È curioso: alla Svizzera, Paese modello del rigore finanziario e della neutralità assoluta (quella strumentale retorica tanto cara agli estremisti di destra e di sinistra), è stata cucita addosso la veste a squame di custode della ricchezza altrui. Un ruolo diventato col tempo una specie di tratto identitario. Talmente assimilato da considerarlo un valore intrinseco, che proprio in quanto tale ci impedisce (a livello politico, ma non solo) di adattare approccio e strategie a delle mutate circostanze. Un rovesciamento feticistico paragonabile a quello che avviene pure col franco svizzero, in cui scompare ogni traccia dell’essenza – esclusivamente composta da relazioni sociali – che lo sorregge.