laR+ IL COMMENTO

L'abbazia, i silenzi, le vittime lasciate sole

Salvare l'immagine del collegio religioso è stato più importante che salvare le vite spezzate di chi veniva abusato

In sintesi:
  • Il problema è strutturale, insito in istituzioni con gerarchie rigide – dove poche persone gestiscono molto potere – che possono diventare terreno fertile per gli abusi.
  • Sacerdoti pedofili mandati a fare esercizi spirituali invece che in prigione
11 luglio 2025
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Ancora silenzi imbarazzanti, ancora vittime lasciate sole, ancora predatori sessuali protetti, ancora un sistema di copertura sistematica degli abusi. La storia si ripete. Sacerdoti pedofili mandati a fare esercizi spirituali invece che in prigione. Senza alcun riguardo per le vittime passate e per quelle future. Persone che andavano fermate, curate, non spostate in altre parrocchie. Non è stato così: l’immagine della Chiesa doveva rimanere immacolata, anche se al suo interno c’era del marcio. Ignoranza, negligente connivenza? Per decenni, salvare l’apparenza è stato più importante che salvare le vite spezzate delle vittime, lasciate sole, non credute, non protette.

Ce lo racconta la cronaca recente – decine di abusi sessuali (dal 1950 al 2022) avvenuti all’abbazia di Saint-Maurice in Vallese e ricostruiti da un gruppo indipendente –, ce lo racconta una vittima, Daniel Pittet, violentato da bambino per 4 anni da un frate a Friburgo. Un uomo con due volti: quello del pastore carismatico e quello privato, che nessuno vedeva, del predatore sessuale. Nella famiglia di Pittet erano tutti molto religiosi. Ci racconta: «Chi mi avrebbe creduto? Nessuno mi avrebbe mai dato retta». Una delle paure più diffuse tra le vittime, quella di non essere creduti. Dopo aver tentato il suicidio, attraversato la depressione e iniziato una terapia, l’uomo decide di parlarne. Che cosa ha fatto la Chiesa? Ha spedito il cappuccino in Francia, dove è diventato responsabile di sette parrocchie e ha continuato ad abusare altri ragazzi.

Anche all’abbazia di Saint-Maurice, un collegio rinomato per rigore ed educazione, l’attitudine dei vertici per decenni è stata quella di nascondere, banalizzare gli abusi (definiti ‘bêtises’), mandare in pellegrinaggio chi li aveva commessi, chiudere gli occhi davanti alle violenze sui ragazzi che venivano affidati alla struttura. Il tutto rimaneva segreto e passava sotto silenzio. Il rapporto ha documentato 67 situazioni di violenza sessuale in senso lato, individuando 30 autori adulti (perlopiù canonici) e almeno 68 vittime (in gran parte minorenni). Solo a seguito della pressione esercitata da media e opinione pubblica la direzione è stata spinta a prendere coscienza dei fatti.

Non è solo una questione di persone malate in strutture sane. Il problema è endogeno, insito in istituzioni con gerarchie rigide – dove poche persone gestiscono molto potere – che possono diventare terreno fertile per gli abusi. Altri fattori sistemici che possono favorire abusi e insabbiamento, spiegano gli esperti, sono ambienti chiusi dove ci sono promiscuità e pochi spazi privati e quando donne e bambini sono considerati di minor valore. Inoltre nella relazione spirituale si crea fiducia, talvolta anche dipendenza psicologica. La manipolazione seduttiva del pedofilo per arrivare al suo scopo incontra ancora meno ostacoli. Emblematica la storia di un bambino di 10 anni: durante la siesta al campo estivo (si legge nel rapporto sull’abbazia vallesana) un canonista molto gentile chiede al ragazzo di fare delle foto artistiche. Lo porta nella foresta e lo fa spogliare. Il bambino sente che qualcosa è fuori luogo, ma non si tira indietro. Perché è un prete a chiederlo e lo fa sentire importante. Dice: “Aveva scelto proprio me, per posare come un angelo”. Solo grazie alle testimonianze delle vittime tutto ciò può finire. L’abbazia ha chiesto perdono. Dovranno seguire dei passi concreti perché non sia più un luogo di ombra e silenzio.