Le reazioni russe all'annuncio di Trump sono sornione e sottotono. Dopo tutto il presidente Usa continua a rappresentare l’unico salvagente per Putin
Non sparate sul compagno Trump! Appare questa l’indicazione del Cremlino ai suoi “propagandisti” all’indomani dell’“annuncio importante” del presidente statunitense che ha dato alla Russia un nuovo ultimatum di 50 giorni per la pace – pena sanzioni che prenderanno di mira i partner commerciali di Mosca – e ha al contempo annunciato un nuovo piano per inviare armi all’Ucraina grazie a un accordo con la Nato. La lettura è che Donald Trump sia stato costretto a prendere certe decisioni. I motivi? Primo: il Congresso Usa prepara dure norme “russofobiche” ed è in subbuglio poiché presto dovranno essere scelti i candidati per le elezioni di “midterm”. Secondo: le pressioni internazionali sono fortissime. Trump ha, pertanto, operato d’anticipo. E così le reazioni russe sono sornione e sottotono. Dopotutto Trump continua a rappresentare l’unico salvagente per Vladimir Putin per uscire dal pantano ucraino. E la chance non va sprecata, ma giocata abilmente.
Intanto ci sono altri 50 giorni per capire come eventualmente aggirare le “sanzioni secondarie” statunitensi. In sintesi, è il solito buco nell’acqua. L’obiettivo dell’Amministrazione Putin è come sempre guadagnare tempo, nonostante l’economia sia in difficoltà. Ma quella in Ucraina è una “battaglia ideologica”; i soldi non c’entrano nulla. La colpa di tutto, viene ribadito, è di Kiev e di Zelensky che non accettano, dall’autunno 2021, le condizioni capestro poste dal Cremlino. Trump non c’entra. Anzi. Il tycoon ha compiuto soltanto un mezzo passo verso l’inasprimento delle relazioni con Mosca, una scelta morbida. Molto meno rispetto alle anticipazioni della vigilia apparse sui media. Di vettori d’attacco, per ora, non c’è neanche l’ombra; solo armi difensive per Kiev. Di rilievo, va segnalato, è che gli Stati Uniti non le forniranno direttamente agli ucraini, ma alla “bellicosa” Europa, che le paga e le dà a Zelensky.
Formalmente l’Amministrazione Trump mantiene così la neutralità, necessaria per avere credibilità ai tavoli negoziali. Fondamentalmente al tycoon non interessa come finirà il conflitto a Est: chi saranno i vinti, chi saranno i vincitori o se si definiranno equilibri precari che provocheranno una futura tragedia ancora più grave. E i russi lo sanno. L’essenziale per Trump è che si finisca di sparare. Putin, però, non ci sente, come il tycoon ha dichiarato più volte: “Abbiamo avuto una bella conversazione, poi lui bombarda!”. Si vogliono salvare i rapporti personali, che potrebbero diventare determinanti se si arrivasse al momento delle decisioni finali. È conosciuta l’ammirazione di Trump per Putin, anche per una questione di vicinanza di età. In questo campo Zelensky appare indietro nelle simpatie del tycoon.
E poi i 50 giorni, ossia accordo entro l’inizio dell’autunno. È risaputo che Putin sia convinto di vincere militarmente in Ucraina prima dell’inverno e di essere in grado di dividere, a breve, gli occidentali. Trump ha di conseguenza posto un limite di tempo accettabile. Il problema è che né i russi né gli ucraini appaiono essere disponibili a compromessi. Di un terzo round di colloqui a Istanbul non si ha traccia. Ma il Cremlino gioca anche su un altro tavolo. Il ministro degli Esteri Lavrov è stato in Corea del Nord e in Cina. Pyongyang fornirà ancora armi, mentre non è chiaro cosa farà Pechino. Cina, India e Turchia rischiano di diventare i bersagli delle “sanzioni secondarie” di Trump. E al Cremlino tocca inventarsi qualcosa per evitare questa trappola.