L’esercito israeliano ammette che Hamas non sottraeva cibo ai civili. E così emerge (tardivamente) una realtà dimenticata
Ci è voluta la crescente pressione internazionale per indurre Netanyahu a porre fine all’infame blocco degli aiuti umanitari, o a ripristinare l’erogazione di elettricità all’impianto di desalinizzazione dell’acqua a Gaza. Ma ha svolto un ruolo non indifferente anche l’ammissione, importante quanto tardiva, dell’esercito israeliano secondo il quale Hamas in realtà non sequestrava né rubava cibo e medicamenti per i civili. Una dichiarazione che ha smascherato la propaganda con la quale l’esecutivo giustificava i cinque infiniti mesi di crudele embargo. Vince, per una volta, la verità, ‘alétheia’ per gli antichi greci, parola significativamente formata dal termine ‘léthé’ (oblio) preceduto dalla particella privativa ‘a’: la verità dunque come riscoperta di una realtà dimenticata, in questo caso volutamente.
Le immagini di bimbi scheletrici, che vagano come fantasmi tra i cumuli di macerie in un panorama di devastazione, non potevano non suscitare un po’ ovunque parallelismi: Gaza, come Buchenwald o Auschwitz. Ma se è vero, come scrive il grande sociologo di origini ebraiche Edgar Morin, che il popolo che più ha sofferto le persecuzioni è oggi diventato “una nazione colonizzatrice e persecutrice”, è altrettanto vero che la contestualizzazione rende alquanto fragili i confronti storici. Vi è tuttavia un’indubbia affinità nella psicologia dei carnefici: quanto succede nella mente dello sniper israeliano che fracassa la testa di un bimbo in fila per ottenere un po’ di cibo non deve essere molto diverso dalla perversione di un fanatico jihadista, o di quella di un milite degli Einsatzgruppen nazisti che fucila un bimbo ebreo in un villaggio ucraino.
A rendere il male banale e accettabile ci pensano gli incendiari: Netanyahu paragona i palestinesi agli Amaleciti, secondo la Bibbia sterminati da re Saul su ordine del profeta Samuele (“non lasciarti prendere da compassione per lui, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini”). Fuoco appiccato con successo: il 65% degli israeliani (sondaggio di ‘Haaretz’) è favorevole ad Amalek, traducibile con ‘eliminazione/sterminio’ (dei palestinesi). In tedesco: ‘Vernichtung’.
Il legislatore greco Solone riteneva che la sua città, Atene, sarebbe andata in rovina se i suoi cittadini avessero dimenticato la giustizia (‘díke’) per dedicarsi a ‘hybris’, traducibile con la legge del più forte, la tracotanza violenta, proprio quella che ha isolato Israele e ne sta compromettendo il futuro. Quella che interpreta il concetto di popolo eletto come “stirpe o razza superiore” e non come un peso più che privilegio, il peso di ambire a un livello di giustizia più alto secondo i più raffinati esegeti umanisti della tradizione talmudica.
“Chi ignora la Storia è condannato a ripeterla”: un detto forse abusato, ma sempre maledettamente valido. Oggi però nelle tenebre della pilatesca ‘comunità internazionale’ appare anche una luce fioca: la si intravede qui e là, nel lavoro dei giornalisti israeliani e palestinesi più coraggiosi, nella tenacia del traumatologo di Tel Aviv (Ronen Argov) che pubblica ogni giorno i ritratti dei bimbi palestinesi uccisi, e da noi nell’azione ostinata di quanti, trascinati da un gruppetto di luminari della medicina (i Dr. Cavalli, Del Ponte, Majno-Hurst, Pedrazzini), hanno capito che malgrado lo scempio, come nel vaso di Pandora da cui si è sprigionato il Male, la speranza non è ancora stata del tutto soffocata.