È iniziata la 78ª edizione. Un'occasione per riflettere sul ruolo dell'arte, e del cinema, nella nostra società
È un parallelo azzardato, quello tracciato dal sindaco di Locarno durante il suo discorso all’inaugurazione del Festival. Nicola Pini ha infatti associato il Festival al Patto di Locarno e a prima vista può sembrare un accostamento maldestro pensato per citare l’importante anniversario dei cento anni dagli accordi che cercarono di dare una pace duratura all’Europa dopo la Prima guerra mondiale. È infatti vero, e lo ha riconosciuto lo stesso Pini nel suo discorso, che quella pace non fu affatto duratura – per quanto oggi dieci anni senza conflitti sarebbero un risultato tutt’altro che disprezzabile –, ma il punto non è fare la contabilità dei risultati, bensì guardare ai valori che animavano quel Patto: dialogo, confronto, apertura, dignità umana, impegno civile.
Sono valori che ritroviamo nel cinema, o almeno in quel cinema al quale guarda il Festival di Locarno che pur essendo nato diversi anni (e un’altra guerra mondiale) dopo, rientra in quello “Spirito di Locarno” che ritroviamo nel Patto del 1925. Non si vuole con questo politicizzare l’arte, associandola a una qualche ideologia o a un qualche partito. Si tratta piuttosto di riconoscerne la forza e il ruolo nella nostra società. Il cinema è in grado di parlare a tutti ma non necessariamente per dire, o imporre, cosa uno deve pensare; emoziona, ma senza chiudere al ragionamento e alla riflessione. Anzi, spesso è proprio attraverso quelle emozioni che ti porta a ragionare su cose che altrimenti avresti ignorato.
Il potere del cinema sta proprio qui: nel farci vedere il mondo attraverso gli occhi di un’altra persona, nel farci provare emozioni per personaggi che magari nella vita reale eviteremmo, nel mostrarci che le nostre certezze sono spesso più fragili di quanto pensiamo.
La presidente Maja Hoffmann, nell’intervista che pubblichiamo a pagina 16, ha parlato di cinema come arte democratica, parola da intendersi nella sua pienezza di significato. È, come detto, un’arte in grado di parlare a tutti, e alla quale tutti devono poter avere accesso. Ma, e soprattutto, il cinema è un’arte democratica perché può dare voce a prospettive diverse, può raccontare storie che vengono da realtà inattese. E questo ovviamente se è in grado di mantenere quel pluralismo minacciato oggi da appiattenti dinamiche di mercato.
Il cinema è un’arte universale, non nel senso ingenuo e un po’ romantico di immediata e armoniosa comprensione, ma in quello radicato nell’Illuminismo che vede il dialogo e il confronto sempre possibili e certamente auspicabili. Quelle idee sul valore della ragione critica e sull’importanza del dialogo oltre le differenze culturali sono oggi messe in discussione da più parti, sia da chi considera la propria tradizione meritevole di essere difesa e imposta con la forza, sia da chi non crede esista un terreno comune che riguardi l’umanità.
Anche qui potremmo tracciare un parallelo con il periodo del Patto di Locarno, sperando che il parallelo si limiti, appunto, a quel periodo di incertezza e non a quello che si è visto negli anni successivi. Il cinema, e in generale l’arte e la cultura, non possono di certo risolvere i problemi del mondo. Ma possono almeno raccontarci delle alternative basate sull’apertura, sul dialogo, sulla riflessione razionale.