laR+ IL COMMENTO

Hayek, Schlegel, Ermotti e gli altri: non è tutto oro quel che luccica

Alla Svizzera è stato attribuito il ruolo del certificatore del valore: un’arma (metafisica) da sfoderare nei negoziati sui dazi di Donald Trump

In sintesi:
  • Il Ceo di Swatch propone una tassa del 39% sulle esportazioni di lingotti d’oro verso gli Usa
  • La Svizzera è l’unico Paese al mondo ad aver introdotto una legislazione specifica per il controllo dei metalli preziosi
(Ti-Press)
22 agosto 2025
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Per alcuni la miglior definizione di cosa sia il tempo appartiene ai pallonari: quella “roba” che separa un Mondiale di calcio da quello successivo. Per altri a Benjamin Franklin: “Time is money”. È probabile che se chiedessimo una definizione a Nick Hayek jr., figlio del cofondatore di Swatch (Nicolas Hayek), nonché attuale Ceo del gruppo orologiero più importante al mondo, direbbe che il tempo è quella cosa che viene misurata con estrema precisione dai suoi orologi. Sarà quindi una sorta di deformazione professionale quella che lo porta a vedere quasi giusto, quando si esprime a proposito del contenzioso con gli Stati Uniti sulle tariffe doganali: “La strategia diplomatica e difensiva seguita finora (dal Consiglio federale, ndr) non ha evidentemente funzionato. Se Trump annuncia sul suo social ‘Truth’ che non applicherà dazi sui lingotti d’oro è perché chiaramente questo gli causa un grande danno. È lì che dobbiamo colpirlo. È il suo tallone d’Achille!”. In buona sostanza la proposta di Hayek è quella di imporre una tassa del 39% sulle esportazioni di lingotti d’oro verso gli Usa (quasi 480 tonnellate nel primo semestre di quest’anno, per una somma complessiva di 40 miliardi di franchi). Al Ceo di Swatch ha fatto eco pochi giorni dopo l’economista Adriel Jost, presidente del think tank Liberethica, il quale parla addirittura di un divieto di esportazione dell’oro verso gli Stati Uniti. Tuttavia la domanda che non si pongono, né Hayek né Jost, è come mai l’oro svizzero sarebbe così importante per il presidente americano. Una domanda che porta a un’altra: perché, insomma, le principali raffinerie si trovano proprio qui? È infatti nella risposta a questi interrogativi che si nasconde quella che potrebbe essere un’arma interessante – seppur metafisica – da sfoderare nei negoziati.

Ci sono almeno due motivazioni, una storica (che possiamo tralasciare) e una legale, che hanno contribuito a consolidare il ruolo della Svizzera come leader mondiale nella lavorazione dell’oro, spiegava a inizio maggio a un collega del ‘Cdt’ Robin Kolvenbach, co-Ceo della Argor-Heraeus di Mendrisio. La Confederazione è infatti l’unico Paese al mondo ad aver introdotto una legislazione specifica per il controllo dei metalli preziosi, istituendo un Ufficio federale preposto alla supervisione delle raffinerie. “In caso di errore nella certificazione dei metalli preziosi – osservava Kolvenbach –, la responsabilità ricade non sulla raffineria, ma direttamente sullo Stato svizzero”. Un’autentica follia o forse una grande virtù? C’è mica un qualche esperto di macroeconomia e/o politica monetaria a bordo che abbia tempo e voglia di spiegare le implicazioni di una simile garanzia pubblica?

Fatto sta che nella cosiddetta ‘divisione internazionale del lavoro’ alla Svizzera è stato attribuito il ruolo del certificatore del valore. Questo è il suo punto di forza in assoluto. Che si tratti di oro, del franco svizzero oppure del settore bancario privato, poco cambia. Il problema è che i grandi uomini del mondo economico-finanziario elvetico – Hayek, Kolvenbach, Schlegel, Ermotti e chissà quanti altri –, abbagliati dal luccicore del proprio status, non sono nemmeno in grado di riconoscere il ‘feticismo’ che regge il gioco (quel meccanismo per cui la proprietà meramente sociale di un determinato oggetto o soggetto, tende a essere intesa come intrinseca all’oggetto o al soggetto stesso, cancellando ogni traccia della sua componente sociologica). Se invece lo fossero, almeno per un attimo, potrebbero diventare un buon supporto per lo smarrito Consiglio federale nelle trattative con Donald Trump.