laR+ IL COMMENTO

Bellinzona, la piazza e il palazzo

La protesta pro Gaza si iscrive in un momento storico che interroga la politica sulla sua capacità di rispondere alla volontà popolare

In sintesi:
  • La libertà di parola non può tuttavia essere privilegio degli uni. Il diritto non va sottratto a nessuno, Ignazio Cassis incluso
  • Le sanzioni contro la Russia sono state decise dai governi, quelle contro Israele, almeno altrettanto giustificate, vengono invece chieste a gran voce dall’opinione pubblica
(Ti-Press)

Le parole giuste questa volta le ha trovate Norman Gobbi: capisce “l’indignazione davanti al genocidio” ma dice no a “minacce e atti violenti”. Ricorda anche che il governo ticinese ha, tra i primi, denunciato la carneficina di Gaza. Vero. Precisa “che comunque non è successo niente di grave”. Reazione inviperita del suo compagno di partito Lorenzo Quadri che se la prende proprio con lui e irride “la favoletta del dispositivo di sicurezza che ha funzionato”. Riversando secchiate di bile sui manifestanti, kompagni, Pro-Pal, brozzoni, molinari, sinistrati, stampa di regime, insomma una feccia di “hater” antisemiti: il consumato rosario degli improperi recitato a presunta difesa della comunità ebraica proprio da chi titilla ogni domenica il ventre più xenofobo dei suoi lettori. La libertà di parola e di manifestazione è uno dei capisaldi della nostra democrazia: di fronte al torpore della politica, il fragoroso baccano dei manifestanti è un atto di impegno civile, così come lo è quel composto silenzio carico di empatia e umanità che riporterà sabato prossimo in piazza a Bellinzona una folla di indignati, disgustati di fronte ai morti per fame, ai bimbi amputati senza anestesia, alle famiglie bruciate nelle tende. È grazie a loro, alla piazza, oltre che a personalità trasversali della politica (M. Carobbio, G. Fonio, F. Dadò, C. Maderni ecc...) e della società civile (centinaia di medici schierati in prima fila) che il potere è uscito in Ticino ancor prima che in altri cantoni, dalla comfort zone dell’immobilismo. La libertà di parola non può tuttavia essere privilegio degli uni. Il diritto non va sottratto a nessuno, Ignazio Cassis incluso. Ovvio. C’è chi come Fabrizio Sirica ritiene che in realtà il resoconto della protesta di venerdì sera sia comunque oggetto di strumentalizzazione e che la polemica si riduca al solito tsunami in un boccalino: vi sarebbe stato in realtà solo qualche piatto rotto e qualche ospite che non ha potuto accedere al Teatro Sociale per ascoltare il nostro ministro degli Esteri esprimersi sui Bilaterali III. Come dire – stando al copresidente del Ps – che di fronte a un genocidio, non ci si può neanche aspettare che i protestatari si riuniscano come se fossero a un pranzo di gala tra educande. Altri politici hanno manifestato indignazione, si sono detti “scioccati” da quanto successo. Shock per i disordini di Bellinzona, ok, ma quale parola allora dovremmo aspettarci da loro su Gaza? Considerata in un’‘ottica più ampia, svizzera e pure europea, la protesta si iscrive in un momento storico che interroga la politica sulla sua capacità di rispondere alla volontà popolare. Assistiamo in questo contesto a un significativo ribaltamento: le sanzioni contro la Russia sono state decise dai governi, quelle contro Israele, almeno altrettanto giustificate, vengono invece chieste a gran voce dall’opinione pubblica (oltre che dalla minoranza di israeliani che si oppongono allo sterminio in atto). Un tale scollamento tra le piazze e i palazzi del potere è probabilmente senza precedenti. Ma forse il fantasma di Pedro Sanchez aleggia finalmente un po’ nella testa di qualche politico: il premier spagnolo sta dalla parte della piazza (e della Storia), si complimenta con i manifestanti che hanno bloccato il finale della Vuelta dove sfrecciavano i ciclisti di Israel, squadra in mano a un miliardario israelo-canadese amico e fan di Netanyahu lo sterminatore.