La protesta pro Gaza si iscrive in un momento storico che interroga la politica sulla sua capacità di rispondere alla volontà popolare
Le parole giuste questa volta le ha trovate Norman Gobbi: capisce “l’indignazione davanti al genocidio” ma dice no a “minacce e atti violenti”. Ricorda anche che il governo ticinese ha, tra i primi, denunciato la carneficina di Gaza. Vero. Precisa “che comunque non è successo niente di grave”. Reazione inviperita del suo compagno di partito Lorenzo Quadri che se la prende proprio con lui e irride “la favoletta del dispositivo di sicurezza che ha funzionato”. Riversando secchiate di bile sui manifestanti, kompagni, Pro-Pal, brozzoni, molinari, sinistrati, stampa di regime, insomma una feccia di “hater” antisemiti: il consumato rosario degli improperi recitato a presunta difesa della comunità ebraica proprio da chi titilla ogni domenica il ventre più xenofobo dei suoi lettori. La libertà di parola e di manifestazione è uno dei capisaldi della nostra democrazia: di fronte al torpore della politica, il fragoroso baccano dei manifestanti è un atto di impegno civile, così come lo è quel composto silenzio carico di empatia e umanità che riporterà sabato prossimo in piazza a Bellinzona una folla di indignati, disgustati di fronte ai morti per fame, ai bimbi amputati senza anestesia, alle famiglie bruciate nelle tende. È grazie a loro, alla piazza, oltre che a personalità trasversali della politica (M. Carobbio, G. Fonio, F. Dadò, C. Maderni ecc...) e della società civile (centinaia di medici schierati in prima fila) che il potere è uscito in Ticino ancor prima che in altri cantoni, dalla comfort zone dell’immobilismo. La libertà di parola non può tuttavia essere privilegio degli uni. Il diritto non va sottratto a nessuno, Ignazio Cassis incluso. Ovvio. C’è chi come Fabrizio Sirica ritiene che in realtà il resoconto della protesta di venerdì sera sia comunque oggetto di strumentalizzazione e che la polemica si riduca al solito tsunami in un boccalino: vi sarebbe stato in realtà solo qualche piatto rotto e qualche ospite che non ha potuto accedere al Teatro Sociale per ascoltare il nostro ministro degli Esteri esprimersi sui Bilaterali III. Come dire – stando al copresidente del Ps – che di fronte a un genocidio, non ci si può neanche aspettare che i protestatari si riuniscano come se fossero a un pranzo di gala tra educande. Altri politici hanno manifestato indignazione, si sono detti “scioccati” da quanto successo. Shock per i disordini di Bellinzona, ok, ma quale parola allora dovremmo aspettarci da loro su Gaza? Considerata in un’‘ottica più ampia, svizzera e pure europea, la protesta si iscrive in un momento storico che interroga la politica sulla sua capacità di rispondere alla volontà popolare. Assistiamo in questo contesto a un significativo ribaltamento: le sanzioni contro la Russia sono state decise dai governi, quelle contro Israele, almeno altrettanto giustificate, vengono invece chieste a gran voce dall’opinione pubblica (oltre che dalla minoranza di israeliani che si oppongono allo sterminio in atto). Un tale scollamento tra le piazze e i palazzi del potere è probabilmente senza precedenti. Ma forse il fantasma di Pedro Sanchez aleggia finalmente un po’ nella testa di qualche politico: il premier spagnolo sta dalla parte della piazza (e della Storia), si complimenta con i manifestanti che hanno bloccato il finale della Vuelta dove sfrecciavano i ciclisti di Israel, squadra in mano a un miliardario israelo-canadese amico e fan di Netanyahu lo sterminatore.