laR+ LA TRAVE NELL’OCCHIO

Non accettiamo l’inaccettabile

Di fronte alla furia pianificata di Israele, mi vergogno del nostro governo e mi associo alla famosa invettiva di Andrea Camilleri: ‘Non in nome mio’

In sintesi:
  • La democrazia liberale sta crollando, aggredita dal nutrito campionario dei nuovi autocrati e aspiranti tali
  • Tanto più moralmente deprecabile è l’atteggiamento del Consiglio federale quando si rifugia proprio dietro al principio di neutralità che gli imporrebbe di agire
Ben venga la società civile che protesta con toni forti quando i diritti umani sono calpestati
(Ti-Press)
25 settembre 2025
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Crolla! Crolla! Crolla! Non è un auspicio e nemmeno un’invettiva. È un’inquietante realtà: la democrazia liberale sta crollando, aggredita dal nutrito campionario dei nuovi autocrati e aspiranti tali: al netto dei despoti già in esercizio, il folle narcisista Trump è l’esemplare più promettente.

Pezzo dopo pezzo, assistiamo passivi alla distruzione dei risultati di un faticoso cammino e mi viene da pensare a Piero Calamandrei quando ripeteva ai giovani milanesi che libertà e diritti fissati nella Costituzione sono come l’aria: ci si accorge di quanto valgono quando cominciano a mancare! “Per questo – commentava nel 1955 l’illustre giurista – una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica”. Quindi difendere lo Stato di diritto significa non rassegnarsi alla cattiva politica, quella che ignora e non adempie ai diritti costituzionali, ma combatterla e contrastarla a muso duro. A questo proposito, perfino Thomas Jefferson (presidente degli Stati Uniti, 1801-1809) sosteneva che l’apatia del popolo porta alla morte della repubblica e che “una piccola rivolta” ogni tanto è buona cosa per dare una scossa al mondo politico. Quindi ben venga la società civile che protesta con toni forti e scalcia e si ribella quando i diritti umani sono calpestati e vilipesi dalla politica. A guardare dove stiamo andando dobbiamo concordare con il filosofo, vigoroso ultracentenario, Edgar Morin: il genere umano ha inventato l’inumanità (e la politica attuale – aggiungo io – la sta riproponendo).

In questo contesto, di una politica incapace di porre un argine all’inumanità che avanza, un ruolo fondamentale lo svolge la stampa: in una liberaldemocrazia matura deve essere militante, denunciante e responsabile, ossia eticamente e civilmente impegnata nella difesa dei principi dello Stato di diritto. È un dovere ineludibile. Ma ci sono dei mezzi di informazione che rifiutano la militanza perché, dicono, il loro ruolo è informare e l’equidistanza è un valore: una bestialità, una bestemmia concettuale quando in ballo c’è la difesa dei diritti e della dignità delle persone. Ce lo disse qualche tempo fa il capo dell’informazione Rsi, Reto Ceschi, a proposito di Gaza: “Non si può far finta di non sapere: la finzione in questa fase storica, con le immagini che scorrono davanti ai nostri occhi, non è moralmente accettabile”.

Di fronte a esseri umani trucidati dalla furia pianificata, tocca alla stampa denunciare, additare le colpe e le aberrazioni della politica. Non sempre lo fa: talvolta descrive ma non si pronuncia. Succede anche al cospetto di una politica estera federale guidata dall’inadeguatezza di un ministro.

Io, cittadino svizzero di lungo corso e fieramente aggrappato all’orto di casa, lo confesso: per la prima volta mi vergogno di un Consiglio federale che si rifiuta di riconoscere lo Stato di Palestina, mi vergogno di un parlamento che si rifiuta di adottare sanzioni vere contro uno Stato che sta conducendo una orrenda politica di sterminio. Mi vergogno di un Consiglio nazionale che, per disposizione del suo ufficio presidenziale, nega perfino un minuto di silenzio per ricordare i massacrati di Gaza. Io mi vergogno di questo governo, timoroso e servile, e mi associo alla famosa invettiva di Andrea Camilleri: “Non in nome mio”. Tanto più moralmente deprecabile è l’atteggiamento del Consiglio federale quando si rifugia, a giustificazione della sua evanescenza, proprio dietro a quel principio di neutralità che gli imporrebbe di agire per rivendicare con forza il rispetto dei diritti umani. Ma il mio sospetto, drammaticamente fondato, è che i diritti non sono più i riferimenti della politica attuale: il presente ha cancellato il passato. Vale anche per noi.